- in: Lettere a un amico, Bologna: Centro Studi Europa Orientale, 1979, p. 109–117
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- Dopis příteli č. 11
Caro amico,
ricordi che io ho espresso delle riserve a proposito dei princìpi democratici e chiedi quali sono allora le riserve che ho nei confronti della democrazia e che cosa avrei da suggerire di alternativo. Questo dipende certamente da un malinteso. La democrazia ha i propri limiti; se li oltrepassa risulta inopportuna, non funziona oppure funziona male. La democrazia è un certo metodo politico; non c’è nessun metodo però che vada bene per tutto. Di solito i metodi universali non vanno bene a nessuno e non valgono nulla. Tuttavia aggiungo qualche postilla al problema.
Soprattutto sotto un certo aspetto, la democrazia è più vulnerabile di altri sistemi politici. Se nella vita politica i suoi princìpi dovessero valere senza eccezioni, essa certamente non sopravviverebbe neppure qualche anno. Come ogni sistema politico, anche la democrazia ha le sue deficienze, soprattutto di ordine pratico, conseguenza della situazione sociale e delle caratteristiche degli uomini, della insufficienza della cultura o della mancanza di coraggio, e molto spesso anche deficienze che consistono nelle stesse strutture sociali di un certo tipo, e in certi processi sociali che possono svuotare anche i principi migliori e renderli mera formalità. Queste deficienze della democrazia, anche se forse non sono una conseguenza essenziale del sistema democratico ma hanno altrove le proprie origini, diventano ovviamente materia per le critiche degli oppositori della democrazia.
Essi però, non solo possono prendere le mosse dai princìpi democratici, cosicché le loro critiche si rivolgono verso l’aspetto concreto di questa o di quella forma di democrazia, ma possono essere più o meno espressamente degli antidemocratici.
E se si rispetta senza alcuna limitazione il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero antidemocratico, il diritto di associazione per gli antidemocratici e simili, la democrazia si scava la fossa sotto i piedi. Purtroppo talvolta la limitazione della libertà di espressione, di stampa, di associazione può essere motivata come se si trattasse di un attacco diretto all’essenza della democrazia, anche se in genere questo non è vero. È come quando nel nostro paese si criticano e addirittura si condannano uomini con l’accusa di minacciare i fondamenti della società, di sovvertire il socialismo, anche se essi vogliono solo la sua riforma. Negli Stati Uniti, nei momenti più duri della guerra fredda, migliaia di uomini vennero privati delle loro funzioni, diffamati e perseguitati nei modi più disparati nel corso di un’isterica campagna contro il comportamento e il modo di pensare cosiddetti non americani. Il pericolo di questo abuso esiste, è una minaccia, e ogni democrazia deve cautelarsi affinché le sue strutture non vengano sfruttate dai gruppi antidemocratici che lottano per abbatterle ed eliminarle. E affinché il pericolo di abuso venga ridotto nel modo dovuto bisogna che le espressioni nelle leggi siano il più possibile pregnanti e concrete e non si tratti di frasi generiche che si possono tirare in tutte le direzioni, come un chewing gum. Leggi simili possono suonare come il massimo della democrazia ed essere interpretate in modo antidemocratico, dittatoriale e terroristico.
Ci sono inoltre dei campi, dei livelli della vita sociale dove i principi democratici non vanno bene oppure rientrano solo per faccende formali, procedurali. Ad esempio, nelle discussioni sul carattere dell’ereditarietà, oppure sui valori estetici dell’opera di uno scrittore o di un artista, oppure a proposito dei pregi e dei difetti di un progetto, non è la somma dei voti pro o contro ad essere determinante, ma la competenza. Ovviamente un romanzo è destinato soprattutto ai lettori e può accadere che ad essi il libro non piaccia, che non lo comprino e che resti negli scaffali delle librerie anche se la critica specializzata era stata favorevole.
D’altra parte, un libro può avere un successo di mercato e diventare un best-seller senza essere artisticamente niente di straordinario. Insomma il successo o l’insuccesso di un libro, sul mercato librario non dipende solo dalla qualità del libro, ma anche dalla qualità dei lettori, quindi a decidere i pregi di un’opera d’arte non ci può essere un solo tribunale.
Nelle controversie e nei problemi tecnici e scientifici, vale (o almeno dovrebbe valere) più l’argomento che il numero dei sostenitori e degli oppositori di una data soluzione.
Un uomo da solo, talvolta, può avere ragione contro tutto, e la maggioranza può sbagliare. Quindi l’essenza della democrazia e dello spirito democratico non può essere vista nel principio che si sceglie e si decide secondo la volontà della maggioranza, né si può vedere in norme esteriori qualcosa di assoluto, di vincolante in qualsiasi caso. Purtroppo nella vita politica non è facile distinguere in che cosa i cittadini hanno il diritto di decidere con votazione e che cosa deve essere deciso dagli esperti competenti. Inoltre numerosi regimi hanno paura di lasciare che i cittadini decidano e quindi votino su qualcosa di concreto e così molte persone pensano che faccia parte dell’essenza della democrazia il decidere su tutto in base all’opinione pubblica; queste idee si sviluppano in opposizione a un dato stato di cose. Ma anche là dove si vota molto spesso (in Svizzera si vota quasi ogni due settimane, o forse anche più spesso, su questioni di carattere locale, nazionale e cantonale: c’è da chiedersi se questo è il modo migliore, quando magari progetti molto importanti ed essenziali vengono respinti dalla cittadinanza solo perché il voto a favore equivale al consenso a un incremento delle tasse che il cittadino votando «sì» si impegna a pagare), la partita non è stata ancora vinta. Molto dipende da come viene formulata la possibilità pro e contro; in genere non si tratta di punti di vista oggettivi, ma di manipolazioni dell’opinione pubblica, di formulazioni demagogiche. Non si tratta quindi solo di votare ma anche di discutere (la libera discussione politica) prima di votare. A questa deve essere riservato un tempo sufficiente, e tutte le voci, tutte le posizioni, tutte le motivazioni devono avere uguali occasioni. Nel nostro paese le generazioni più giovani non riescono a farsi un’immagine di questo perché non conoscono ancora una democrazia politica (e neppure sociale: infatti la democrazia non è solo questione di forme esteriori e di strutture di vita politica, ma è un certo stile, un certo modo di gestire la società, un modo di vita) che funzioni normalmente. Lo si può vedere bene dalla situazione intorno a Charta 77.
Se un gruppo di persone (non conta quanto numeroso) fa una critica dicendo che nel nostro paese le leggi vengono violate e che in tutta una serie di casi gli uffici violano con le loro disposizioni i diritti umani e civili, questo può essere vero oppure no. Se si tratta di un gruppo di piagnoni, il governo non si deve preoccupare di questo, perché essi non commuovono nessuno nella società. Altra è la situazione se c’è pericolo che questo susciti nella società un interesse più o meno grande. Il governo che in una situazione del genere cerca di far tacere quel gruppo e di nascondere come può il contenuto reale della critica, oppure di cambiare le carte in tavola ai critici senza lasciar loro la possibilità di difendersi dalle insinuazioni, dimostra in modo molto chiaro di avere paura delle critiche. Se il ministro dell’Interno dichiara (sia pure non pubblicamente) che la maggioranza assoluta dei cittadini non si rende conto del pericolo della critica, questo vuol dire o che considera la maggioranza dei cittadini un branco di sciocchi, oppure che ammette che i cittadini riconoscono il pericolo ma non se ne difendono perché per loro la critica non è un pericolo. La verifica è pericolosa solo per colui la cui situazione è diversa da quella della stragrande maggioranza dei cittadini. In ogni caso ammette che esiste un divario, un abisso fra la minoranza che non vede il pericolo e la maggioranza della popolazione. E perché si serve di insinuazioni, denunce, deformazioni, diffamazioni? Perché non dimostra la pericolosità di Charta 77 diffondendo, interpretando e analizzando il testo? Perché ricorre alle intimidazioni della polizia, alla minaccia di rappresaglie, ai licenziamenti? La minoranza che è pienamente cosciente della pericolosità di Charta 77 potrebbe essere un gruppo profetico che vede il pericolo là dove gli altri sono ciechi e sordi e vanno inconsciamente incontro alla rovina. Ma perché tante menzogne, tante calunnie, perché tanta propaganda, tante azioni dure, perché tutta questa campagna isterica? O c’è un baratro tra la minoranza «avveduta» e la maggioranza «cieca» che è ormai incolmabile con i normali mezzi di comunicazione, oppure Charta 77 non è affatto un pericolo ma ciò che viene proclamato dalla Charta è la
Contro la verità un solo tipo di lotta è possibile, la menzogna. La menzogna deve cercare di spacciarsi per verità, oppure nessuno le crede. Deve pertanto evitare i normali confronti, in cui ognuno potrebbe confrontare le due versioni e decidere da solo qual è la verità e quale la menzogna. Allora la verità non può comparire per le strade, alla luce, non può stare sulle pagine dei giornali, delle riviste, non può stare da nessuna parte. Le persone – e non gente qualunque, ma operatori culturali di primo piano – devono respingere i «traditori», i «falliti», gli «intrusi», senza conoscere il testo a cui costoro hanno apposto la firma. Questo è offensivo; gli operatori culturali di primo piano sono quindi annoverati fra quegli sciocchi che potrebbero perdere la facoltà di discernimento se conoscessero il testo di Charta 77. Quindi devono, con la loro firma, dire che sono contro, ma solo gli iniziati possono sapere contro che cosa sono esattamente. La Charta però gira in molte copie: tenerla nascosta, quindi, non basta. Bisogna ricorrere alle minacce e alle promesse; il vecchio metodo del bastone e la carota. Guadagni uno stipendio dignitoso? Zitto e firma qui, altrimenti addio stipendio. Fai un lavoro che ti piace? Bada a quello e firma qui, altrimenti hai chiuso con il tuo lavoro. Hai dovuto stare zitto fino a ora? Sono già anni che non puoi pubblicare niente? Che non puoi cantare le tue canzoni? Il tuo nome non poteva essere menzionato? Firma e noi ti diamo subito nuove possibilità. Dopo la firma qualcosa di tuo sarà subito programmato alla radio e magari anche alla televisione. Naturalmente sceglieremo noi. E gli operatori culturali, con più cultura e più intelligenza dei veri intrusi, non solo firmano, ma devono anche far vedere agli altri, che sono proprio così ottusi, come è necessario per firmare una cosa simile. Ai livelli più bassi le intimidazioni sono ancora più grossolane, anche se non è facile immaginarselo. Grazie a questo si è arginata la valanga delle firme; il ministero lo riconosce. È la lotta per la quantità. La «votazione» deve essere pubblica, cioè facilmente controllabile. Eppure c’è gente che si rifiuta. Pian pianino si regolano i conti. Vorresti andare all’estero? E invece non ci vai, anche se si tratta di un viaggio ufficiale programmato in precedenza. Rappresentavi una sezione direttiva? La rappresenterà qualcun altro. Eri in qualche commissione? Non ci starai più. Eri un tecnico rispettato nel tuo lavoro? Faremo una piccola ristrutturazione e ti trasferiremo altrove, dove non darai nell’occhio e dove la tua qualifica non ti servirà a niente. E ti ridurremo lo stipendio. Oppure non ti daremo gli aumenti che vengono riconosciuti anche ai più giovani. Non ti aspettare premi. Ecc. ecc. Se rinunci perché, pur essendo diplomato alla scuola superiore, ti abbiamo offerto un posto di magazziniere, affari tuoi. Non potrai andare da un’altra parte, anche se cercano qualcuno, anche se ce n’è molto bisogno; ti diranno che il motivo è la mancanza di fondi (anche se hanno fatto le inserzioni sui giornali). Da noi cioè non esiste la discriminazione politica. Lotta per la quantità; ma questo ha qualcosa a che fare col violare le leggi e i diritti e le libertà civili oppure no? Con ciò non si dimostra niente di simile, si dimostra solo che i diritti umani e civili sono calpestati e che sono calpestate le nostre leggi. Non c’è bisogno di riesumare vecchi casi: ce ne sono tantissimi di nuovi. Ma anche se i nostri uffici e i nostri mezzi di comunicazione di massa potessero rivelare la verità su Charta 77, anche se riuscissero a convincere la maggioranza dei cittadini che essa dice solo menzogne ed è nociva, anche se non dovessero ricorrere a mezzi illegali, documentando così la verità di Charta 77, anche se ottenessero lo scopo per vie politiche (e non solo con l’autorità e le minacce), questo ancora non basterebbe. Questo è un altro caso che indica quali sono i limiti a cui deve sottostare la stessa democrazia. Se cioè un eminente scienziato viene privato del suo posto perché radiato dal partito oppure perché firmatario di Charta 77 o per qualsiasi altro motivo, questo non va solo contro le leggi e non è solo una violazione dei diritti umani e civili, ma è un danno per la società intera, per tutti i cittadini. E anche se i cittadini nella maggioranza fossero d’accordo (e non è assolutamente la situazione nel nostro paese) essi non avrebbero il diritto di decidere questo, se non altro perché in questo modo si danneggia la generazione più giovane dei «cittadini» e delle «cittadine» che non sono ancora maturi, che non possono incidere sulle votazioni perché non hanno ancora alcun interesse per queste cose. Di più: questo danneggia anche la generazione futura di coloro che ancora non sono nati. Più che nelle scienze naturali, ciò vale nell’arte, nella pubblicistica, nella critica letteraria, nella filosofia… I danni sono imprevedibili. Il professore Patočka scrisse una serie di testi che non potè pubblicare nel nostro paese. Poco male, si conserveranno e usciranno fra anni. Ma egli non ha potuto scrivere tutta un’altra serie di testi: questa non è una perdita solo per noi ma anche per tutte le generazioni future, che delle odierne teorie politiche non sapranno niente oppure solo le cose meno belle. Che danno, che perdita, quando non può svolgere il suo ruolo un attore di prestigio che, se mancano le occasioni, non può neppure dare prova della sua arte e arricchirla e salvaguardarla. Chi ha il diritto di impedire a un cantante o a una cantante di esibirsi, per cui da dieci anni non possono cantare in pubblico?
Con questo voglio ribadire una cosa di straordinaria importanza: le decisioni politiche sono gravide di conseguenze non solo per chi decide e per chi vota (se può votare), non solo per la generazione vivente, ma anche – in misura diversa – per il futuro. E nel presente nessuno può decidere in modo univoco e definitivo sul futuro. Sarà il futuro che giudicherà – e forse sarà un giudizio molto severo – sulle nostre decisioni di oggi. E non solo le nostre decisioni, ma anche i nostri silenzi, le nostre decisioni mancate, le nostre paure e il nostro timore. Chi decide per la verità deve star pronto ad essere attaccato da parte del potere e da parte della menzogna: ma chi decide per la verità, per quanto difficile, dà precedenza al futuro sul presente. L’uomo è una creatura con il presente più disparato, una creatura che integra il suo presente con un gigantesco passato, e che nel suo presente è aperta verso il lontano futuro. L’uomo è una creatura capace di decidere e di rischiare il futuro più prossimo per il futuro degli altri, di quelli che verranno, di quelli che ancora non possono dire nulla, non possono difendersi.
Praga, 21 aprile 1977.