- in: Lettere a un amico, Bologna: Centro Studi Europa Orientale, 1979, str. 159–167
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- Dopis příteli č. 16
Caro amico,
riconosco che non mi è facile rispondere alla tua domanda sul mio rapporto, soprattutto pratico, – come dici tu – con il comunismo e i comunisti. Già una volta ti ho scritto che un tempo non fui lontano dall’entrare nel partito comunista. Anche negli anni successivi, sia sul piano personale che ideologico, mi sono trovato molto vicino ad alcuni comunisti. Oserei dire che fra quanti nella nostra società non vanno d’accordo per principio con l’ideologia comunista, nessuno è più di me estraneo a qualsiasi anticomunismo. Non che mi siano mancati da parte loro le occasioni e i motivi per giungere a questo. Comunque, i comunisti, in un modo particolare, talvolta caricaturale, ripetono gran parte degli errori per cui i cristiani, inclusi quelli peggiori, provocarono nausea all’estremo; infatti, proprio come una volta (e dunque ancora oggi) i cristiani, permettono a persone che suscitano solo vergogna di occupare posti di comando e di ricoprire funzioni importanti. Eppure quando talvolta nella vita, per motivi gravissimi e addirittura per coscienza, attraversai dei conflitti terribili e provai un pesante isolamento, furono proprio i comunisti il mio appoggio e il mio aiuto. Questo è senza dubbio spiegato in parte dal fatto che i senza partito (nel complesso a ragione) sono propensi a credere che essi non possono far nulla, per cui, a parte manifestazioni di simpatia e di solidarietà (possibilmente in modo furtivo e senza scomodi testimoni), nessuno può aspettarsi niente di pratico da loro nella lotta solitaria (anche se d’altronde un aiuto indiretto sono disposti a darlo nei modi più disparati). Ma si tratta anche di qualcos’altro: l’idea che l’uomo dovrebbe impegnarsi politicamente, che dovrebbe trovare un suo posto nelle lotte concrete, che dovrebbe assumersi un impegno reale e cercare di modificare i rapporti sbagliati, è oggi molto rara fra i non comunisti (a esser sinceri, oggi è rara anche fra i comunisti). Comunque, in base alla mia esperienza – almeno per la mia generazione – l’ingresso nel partito comunista era motivato dalla decisione radicale che nella vita occorre impegnarsi, che la nostra vita riceverà significato solo dalla lotta attiva per migliorare l’esistenza umana e per eliminare tutto quanto incatena l’essere umano, lo condiziona e lo corrompe. Anche quando la prassi dimostrava che questi erano solo ideali, magari illusioni di gioventù, anche quando nella vita prendevano il sopravvento un certo opportunismo e simultaneamente la stanchezza per i toni ipocriti che la lotta assumeva e un gran desiderio di un po’ di pace e di silenzio, nelle situazioni più acute, più tese (penso soprattutto alle situazioni conflittuali nella vita quotidiana, ad esempio nel lavoro), erano i comunisti i soli a non fermarsi alla simpatia – talora intrisa di adulazione – al mero gesto di solidarietà, i soli pronti, dopo una breve riflessione e dopo aver valutato a fondo le circostanze, a rischiare anche la propria posizione e la propria carriera, se erano sicuri che era in gioco la verità, che la causa era giusta. Avevo ed ho una serie di amici che erano e sono per me un sostegno; ma la loro solidarietà è cresciuta in lunghi anni di conoscenza reciproca nella continua collaborazione. Fra i comunisti (lo ripeto: fra alcuni comunisti) io ho riscontrato la capacità di riconoscere il momento in cui bisognava impegnarsi con tutto il proprio peso, anche se in passato la loro storia aveva seguito vie diverse. Più volte ho fatto l’esperienza di questi incontri, di questo improvviso comprendersi reciproco, e devo dire che qui hanno poi trovato la loro radice la nostra reciproca fiducia, la nostra amicizia e soprattutto il rispetto reciproco.
Un grosso problema (il più grosso attualmente, in questa situazione abnorme in cui tutto è confuso e non di rado è capovolto nel proprio contrario) è senza dubbio quello di discernere chi è realmente comunista e chi non lo è, che cosa è il vero comunistmo e che cosa non lo è. È storicamente provato che marxismo e comunismo sono diventati il pretesto ideologico di situazioni che con il socialismo e il comunismo non hanno nulla a che fare. Ufficialmente nel nostro paese tutto si fa nell’interesse della classe operaia e degli altri lavoratori; in pratica però molto spesso si determinano condizioni di lavoro che non esisterebbero in nessuna società capitalistica dell’Occidente. I casi concreti da citare potrebbero essere infiniti. Ci sono dirigenti che fanno chiaramente la rovina dell’azienda loro affidata, ma nessuno sa come liberarsi di loro senza danno, perché questi sciuponi, questi incapaci, hanno le loro aderenze, i loro protettori, gente altolocata di cui sanno qualcosa. Che cosa c’è, in questo, di socialista e di comunista? Assolutamente nulla: forse solo la straordinaria frequenza del fenomeno. A questo va aggiunto un altro fatto storico: molti comunisti convinti, sinceri, sono stati esclusi e radiati dal partito perché non sapevano e anche perché non erano disposti a lasciarsi «indottrinare»; atteggiamento che scaturiva proprio dalle loro convinzioni e dalla loro limpidezza. Invece i camaleonti, parassiti e qualunquisti, non incontrano mai difficoltà nelle loro convinzioni e nemmeno nella loro coscienza. Tutto questo fa sì che non si possa definire in termini organizzativi la linea di demarcazione fra i comunisti e gli altri; di solito non è la tessera del partito che garantisce la vera fede comunista.
Comunque – e qui dobbiamo concordare con il marxismo e i suoi classici – il significato storico, sociale del comunismo e dei comunisti non può essere ridotto e fondato solo sulla serietà dei suoi seguaci (anche se non transigerei sul fatto che senza questa serietà tutto il movimento rischia di finire sott’acqua). Bisogna tener conto anche delle caratteristiche e delle prospettive del movimento stesso. I problemi comunque restano anche qui; il movimento comunista internazionale è diviso, alcuni seguaci negano ad altri il diritto di considerarsi veri comunisti oppure li bollano come «revisionisti», «rinnegati», «opportunisti» o, al contrario, come «radicali» anarchici, si rinfacciano a vicenda di essere «di destra» e «di sinistra» ecc. Come trovare un punto di orientamento a questo livello? Non sono sicuro: si tratta, come dire, di questioni molto difficili. Ma un punto da cui partire c’è. Tra alcuni giorni ricorderemo il primo anniversario della conferenza di Berlino fra i partiti comunisti e operai d’Europa (20–30 giugno 1976). Nonostante certe (non poche) difficoltà, si riuscì a trovare un’intesa di base; qualcosa di quell’intesa entrò nel documento finale approvato all’unanimità, qualcosa trovò la sua espressione nel fatto che non fu nemmeno menzionata nel documento finale. Penso che sarà utile dare un’occhiata indietro e vedere che applicazione ha trovato – soprattutto nel nostro paese – l’insieme dei principi (e degli impegni) enunciati in quel documento.
Innanzitutto è importante che i partiti comunisti europei si siano trovati d’accordo sul principio del rispetto della libertà di scegliere le vie nella lotta per una trasformazione progressista della società e per il socialismo. Questo significa che, secondo il documento, non c’è un’unica via possibile per costruire la società socialista. Pertanto i singoli partiti devono evitare le ingerenze negli affari interni e rispettare rigorosamente la parità di diritti e l’indipendenza sovrana di ciascun partito. Ma gli stessi principi valgono anche fuori del movimento comunista. Fra i comunisti e tutte le altre forze democratiche e pacifiste, il dialogo e la collaborazione sono necessari. Occorre eliminare pertanto la sfiducia e i pregiudizi che potrebbero rendere difficile la collaborazione. I comunisti non devono considerare impossibile neppure una collaborazione con chi non ne condivide la politica oppure è su posizioni critiche nei confronti della loro attività; i comunisti non devono meccanicamente considerare anticomunisti coloro che li criticano e non sono d’accordo su tutto. A Berlino, i partiti comunisti dell’Europa hanno ribadito la propria disponibilità a collaborare, nella lotta per la pace, la democrazia e il progresso sociale, su un piano di parità con tutte le forze democratiche, in particolare con i partiti socialdemocratici. Vengono anche citati i cristiani, cattolici e seguaci delle altre chiese, e i fedeli delle religioni cosiddette non cristiane (termine chiaramente inesatto), il cui ruolo è riconosciuto importante dai comunisti nella lotta per la pace, la democrazia e i diritti dei lavoratori.
Veniamo ora alle valutazioni e ai «controlli». La situazione del nostro paese è caratterizzata dal fatto che la libera evoluzione interna del partito comunista cecoslovacco, e così pure quella di tutto il paese e di tutta la società, venne interrotta e pesantemente condizionata con l’ausilio di un intervento militare esterno. La via all’edificazione di un socialismo democratico e alla liquidazione dei «modi di governare repressivi e autoritari», che aveva incontrato ampi consensi in vasti strati della popolazione, via alla quale, stando al documento approvato all’unanimità a Berlino, il nostro paese e il nostro partito avevano diritto, non fu rispettata dai paesi fratelli e dai loro partiti, in contrasto con le tesi del documento (che ora questi paesi fratelli, cioè i loro più autorevoli esponenti di partito, hanno unanimemente approvato a Berlino). La sovranità dello stato e l’indipendenza sovrana del PCC subirono una palese violenza, militare e politica. All’interno: vennero ostacolati e interrotti la collaborazione fra i nostri comunisti e le altre forze democratiche e il dialogo con i non marxisti, in particolare con i cristiani, che avevevano avuto uno sviluppo promettente. Oggi nel nostro paese non esiste gruppo, movimento, neppure un singolo privilegiato che possa esprimere ad alta voce la propria disapprovazione per la politica dell’attuale leadership dello stato e del partito oppure possa prendere pubblicamente una posizione critica verso le sue iniziative: una mossa del genere è materialmente, fisicamente impossibile (anche se ciò è in contrasto con le nostre leggi). Se qualcuno si muove ugualmente, restando nel campo delle possibilità così antidemocraticamente ridotte, ad esempio con uno studio battuto a macchina o con una lettera, e rende poi noto in qualche modo il suo pensiero, viene immediatamente diffamato e denunciato come anticomunista e antisocialista. Questa è la conseguenza diretta dell’intervento sullo sviluppo interno della Cecoslovacchia di cui ho già parlato. Se in essa non si rispetta la parità di diritti che spetta ad ogni popolo, se non si rispettano la sovranità, il principio della non ingerenza negli affari interni, che spetta ad ogni paese, non si può rispettare neppure la parità di diritti riconosciuta ad ogni cittadino. Pertanto è nella logica della conferenza di Berlino e del suo documento finale che «è necessario opporsi ad ogni tentativo di pressione e di ingerenza dall’esterno, dovunque e con qualsiasi forma si manifesti». (È per questo che il documento non fa menzione della solidarietà internazionale [?] o della dottrina della sovranità limitata).
Oggi nel nostro paese ci sono (ormai dagli anni cinquanta) alcuni partiti non comunisti di nome; il loro peso politico è comunque nullo, perché essi sono solo una specie di quinta politica, priva di qualsiasi autonomia di movimento e in genere anche di vita autonoma. Alla conferenza di Berlino, però, i rappresentanti dei partiti comunisti e operai si sono all’unanimità espressi a favore di «un costruttivo dialogo con tutte le forze democratiche, nel pieno rispetto della loro autonomia».
Come si vede, la nostra dirigenza politica (e non solo la nostra) non rispetta neppure i termini del documento finale della conferenza di Berlino fra i partiti comunisti e operai (cui ha dato il proprio assenso); come può quindi sorprenderci il fatto che non mantenga gli impegni di Helsinki (approvati anche dalla Cecoslovacchia ed espressamente citati anche nel documento di Berlino)? Come può stupirci che la Cecoslovacchia approvi e ratifichi ufficialmente dei patti internazionali, li introduca nella nostra legislazione, e poi non ne rispetti numerosi punti? Tutto questo è molto stereotipato; si sottoscrivono ufficialmente e pubblicamente, si proclamano solennemente delle leggi e degli impegni relativi alla politica dello stato e del partito, che poi o non vengono applicati affatto oppure solo con molte esitazioni. Se qualcuno fa notare questo in patria, è un traditore e un venduto, un intruso e un fallito; se qualcuno fa notare questo dall’estero è un ficcanaso che si intromette arbitrariamente negli affari interni della Cecoslovacchia. Un giudizio critico e uno sguardo netto sullo stato reale delle cose sono sgraditi e diventano immediatamente materia per attacchi privi di scrupoli che di norma non entrano nel merito. Gli aspetti negativi nella vita degli altri paesi diventano occasione per distrarre l’attenzione dalle vicende interne. I princìpi democratici proclamati negli altri paesi vengono diffamati come orpelli borghesi usati per nascondere le contraddizioni sociali; ai singoli casi dolorosi e alle centinaia di migliaia di disoccupati, vengono ostentatamente contrapposti i princìpi del socialismo e del comunismo. Delle sciagure che si verificano all’estero i nostri cittadini vengono informati meglio e più dettagliatamente che di quelle che avvengono in patria. Quest’anno sono già accadute alcune disgrazie, ad esempio in miniera, in cui hanno perso la vita numerose persone. Le informazioni in proposito sono minime, oppure non vengono neppure fornite; sulle inchieste che sono seguite non è stata diffusa alcuna informazione. Forse il colpevole si trova sempre, ma neanche una volta un nostro reporter si è spinto nelle miniere sinistrate e ha scritto un rapporto indipendente su quello che pensa la gente e su quello che dicono i minatori e le loro famiglie. Neppure una volta sono diventate oggetto dell’interesse pubblico le condizioni di lavoro, che in certi casi sono davvero terribili. In questo modo quelle condizioni disumane restano immutate. Questo è solo un esempio per gli scrittori, i sociologi e gli altri professionisti della minaccia che incombe su tutti, anche quelli che pensano che la cosa non li riguardi.
Accanto alla dirigenza politica ufficiale, ci sono però nel nostro paese anche dei comunisti che ne hanno abbastanza di questi giochetti. Sono i comunisti che non hanno dimenticato che alle origini del marxismo trovarono posto una sfiducia profonda verso le dichiarazioni ufficiali e l’impegno vigile a presentare lo stato reale delle cose, insomma uno spirito critico attentissimo, un pensiero preciso (almeno come tensione) e il rigetto di ogni ideologizzazione e di ogni ideologia. Sono i comunisti che non hanno dimenticato o a cui le esperienze funeste hanno fatto ricordare che Marx era un democratico (quindi liberale). Questo tipo di comunisti esiste anche nel nostro paese e all’estero sta guadagnando importanza. Anche se sono oggetto di critiche e di attacchi da parte del cosiddetto socialismo reale, essi hanno ormai acquistato un rispetto e un’importanza tali da riuscire a far passare nel documento di Berlino formulazioni di notevole importanza contro cui gli altri, i comunisti antidemocratici, non hanno potuto immediatamente levare la propria voce e porre il veto. Si riservano di farlo in altre occasioni, nelle polemiche con i cosiddetti eurocomunisti, standosene al sicuro, laddove i comunisti democratici non hanno la possibilità di rispondere subito. È una linea di demarcazione importante quella che conduce al movimento comunista; a mio parere, l’antidemocraticismo non ha alcuna chance per il futuro. Oppure quasi nessuna; l’unica sua chance sono l’incapacità, la menzogna e la pigrizia, il comodo dei democratici. Allora evitiamo di essere pigri e comodi!
Praga, 23 giugno 1977.