Lettera n. 10
docx | pdf | html ◆ article | correspondence, Italian, origin: 14. 4. 1977
  • in: Lettere a un amico, Bologna: Centro Studi Europa Orientale, 1979, p. 99–107

Lettera n. 10

Caro amico,

ero rimasto meravigliato che tra tutte le domande e i temi che mi avevi sottoposto nelle ultime settimane non si facesse mai cenno del cristianesimo, che io avevo ricordato già più di una volta. Ora che hai toccato questo tema, capisco perché hai esitato tanto a lungo. Dalla tua domanda intuisco molto scetticismo. Nella società odierna, la religione, il cristianesimo, hanno ancora un posto, una funzione positiva, una qualche prospettiva? Non solo nel nostro paese, ma in tutto il mondo? Mi rifaccio alla domanda che poco tempo fa un marxista mi pose molto francamente: ha un valore positivo che nella lotta per i diritti umani fondamentali si ribadisca in modo particolare anche la libertà religiosa? Quella che conta è la libertà di convinzione; e quindi non ha importanza se questa convinzione è religiosa oppure no. Oggi il mondo è cambiato e la religione non gioca più in esso nessun ruolo importante. Quando i cristiani pretendono che si dia ascolto anche alla loro voce cercano solo il proprio tornaconto. I cristiani di oggi sono molto lontani dal rivendicare diritti e libertà per altri che non siano loro stessi; del resto essi non lo hanno mai fatto.

Io penso che davanti a queste domande e soprattutto a questi rimproveri, un cristiano non possa assolutamente cominciare difendendosi, facendo l’apologia del cristianesimo e dei cristiani. Se c’è uno che deve avere la coscienza delle proprie colpe e dei propri peccati, questi è proprio il cristiano. Io penso che nessuno debba ritenere che il cristiano è (deve essere) per forza migliore di «questi altri»; l’esperienza anzi dimostra che egli è pieno di peccati, di errori e di vizi. Ma dal momento che possiede un criterio ben saldo, egli ha la possibilità e anche il dovere di conoscere le proprie mancanze e le proprie colpe, può e deve conoscerle bene; soprattutto non gli è permesso sottovalutarle, minimizzarle o magari giustificarle. Se fa una cosa simile, si spaccia per cristiano, ma non lo è, poiché non ha capito niente della sostanza del Vangelo. Per questa ragione c’è anche molto da sospettare quando un cristiano parla di un male, critica qualche vizio o qualche ingiustizia, ecc. Egli se ne tira fuori, entra nei panni del giudice giusto, nella posizione di chi non ha niente a che fare con questo male, è immune da ogni colpa e totalmente estraneo alla difficile situazione smascherata e criticata. C’è anche da sospettare quando egli non si limita alla propria persona, ma pretende di scagionare anche la sua chiesa o i cristiani in genere. Il cristiano non ha il diritto di dire neppure una parola critica in qualsiasi direzione, se non mette al tempo stesso in chiaro a sé e agli altri, in privato e in pubblico, la propria complicità, la complicità di tutta la chiesa e dei cristiani in genere. Io sono convinto che in questo unicamente consiste il compito dei cristiani, insostituibile anche nella nostra società moderna, nel nostro mondo «areligioso». E se per qualunque motivo i cristiani vogliono evitare questo ruolo, se rinunciano ad esso, smettono di essere cristiani e fanno di sé e della loro chiesa il «sale insipido» che non serve ad altro che ad essere gettato fuori (eventualmente anche nel famoso «immondezzaio della storia») e ad essere calpestato dagli uomini.

Nella lotta per i diritti umani fondamentali e le libertà civili i cristiani hanno anche un altro ruolo oltre a quello di essere uno dei gruppi perseguitati e discriminati nella nostra società; e in genere non hanno il diritto di additare le proprie piaghe e le proprie ferite e di lagnarsi di essere trattati peggio degli altri. Da un lato questo non è vero, ma quand’anche fosse vero essi non avrebbero il diritto di lamentarsi. Il loro compito è un altro: i cristiani devono fare l’esame di coscienza e chiedere come essi stessi in quanto cristiani e membri delle proprie chiese (quindi non solo in privato) sono complici di quelle repressioni e di quelle discriminazioni, devono cioè fare l’esame di coscienza sul rapporto che hanno con gli altri perseguitati e discriminati. Nei Vangeli, e in particolare nel discorso della montagna, si mette in straordinaria evidenza che nella vita dell’uomo ciò che conta è quanto faccio per coloro che hanno fame e sete (con questo si allude innanzitutto alla vera fame e alla vera sete, ma in certi passi questo viene giustamente interpretato anche come fame e sete della giustizia), che non hanno di che vestirsi e soffrono il freddo, che soffrono e in particolare soffrono per causa della giustizia, che sono maledetti e odiati, sono carcerati, ecc. ecc. I poveri, gli oppressi, gli offesi, i sofferenti, i piangenti, i misericordiosi, i perseguitati, gli umiliati: sono coloro ai quali il cristiano testimonia (deve testimoniare) il proprio rapporto con Gesù. Forse si dice troppo poco sul fatto che un rapporto non ambiguo con chi ha fame e sete porta per forza anche a un rapporto non ambiguo con chi ogni giorno banchetta alle spalle dei poveri: se entreranno almeno nello spirito (dato che il progresso ha fatto sì che a visitare i carcerati possano andare solo i parenti più prossimi muniti di apposito permesso) di chi è in carcere, non si metteranno più a tavola con chi l’ha messo in carcere; se offrono la propria simpatia e il proprio aiuto a gente offesa e perseguitata, non daranno la propria benevolenza e la propria amicizia a chi li offende e li perseguita. E così di seguito. Il che non significa che restituirò male per male e che odierò quelli che mi odiano (e che odiano quelli di cui io sono amico). Chi invece vuole strisciare fino al futuro come una lucertola e non si vuole guastare con nessuno, andrà fra i caproni e non fra gli agnelli.

Da questo punto di vista meritano un’attenzione tutta particolare i rappresentanti delle comunità cristiane e i membri delle gerarchie ecclesiastiche. Se nel caso di una persona condannata ingiustamente io posso limitarmi a offrire un semplice aiuto umano a lui e alla sua famiglia e prenderò le distanze solo formalmente e senza far troppo chiasso da coloro che lo hanno condannato ingiustamente, non posso ammettere un atteggiamento del genere nei dignitari ecclesiastici che per tattica, per paura oppure per vigliaccheria, in nome di un vile timore per la propria vita, non possono giustificare nessuna ingiustizia, chiudere gli occhi davanti alla realtà o accampare il pretesto che non spetta loro intromettersi in queste faccende. Questa è menzogna, questo è tradimento e davanti a una cosa simile nessun cristiano può restare indifferente o neutrale, nessun cristiano può evitare di protestare. Numerosi esponenti ecclesiastici, ma anche molti preti ordinari e pastori e persino molti laici, mi rinfacciano che ciò che io dico è follia, che questa è la strada più sicura per far fuori la chiesa; e che qualche volta bisogna anche saper ingoiare, perché la chiesa si possa conservare, perché possa vivere. Ma comportandosi così dimostrano di non sapere cos’è il cristianesimo. Dimostrano che la fede vera per loro è arabo e che non hanno neppure letto bene il Vangelo. Altrimenti saprebbero che l’uomo che ha poco o niente in comune con il cristianesimo (il Samaritano, cioè il non ebreo), ma che porta aiuto all’uomo vittima dei ladroni, è mille volte preferibile al prete, al rappresentante della chiesa e magari anche al dignitario ecclesiastico che non degna neppure di uno sguardo il malcapitato perché ha fretta di correre in chiesa a compiere i propri doveri religiosi. Altrimenti saprebbero che il sacrificio di sé (quindi non l’autoconservazione) può [lacuna] e che la strada del rifiuto del sacrificio è […] («Vade retro Satana», disse Gesù a Pietro proprio in una circostanza difficile); altrimenti saprebbero che il chicco di grano porta molto frutto solo se muore, mentre se rimane solo da esso non nascerà niente.

Scusami se mi sono lasciato un po’ prendere dal pathos. Non riesco però a capire perché oggi alcuni cristiani arrivino a giustificare davanti a se stessi e anche davanti agli uomini le proprie gerarchie ecclesiastiche che organizzano compromessi su compromessi, che tradiscono le proprie pecore, dandole in pasto ai lupi, che non ritengono indispensabile preoccuparsi dei tribolati, degli afflitti, dei perseguitati quando questi non solo del «loro» ovile. Purtroppo ho dovuto fare quest’esperienza con i rappresentanti della mia chiesa, e la stessa esperienza hanno dovuto farla anche i cattolici e gli altri fratelli cristiani. Sono fermamente convinto che niente di simile merita una giustificazione e che l’unica scelta è di prendere le distanze e di esprimere esplicitamente non solo un dissenso ma addirittura un altro orientamento ecclesiale, di imboccare un’altra strada. Senza dubbio non si tratta solo dei rappresentanti e delle gerarchie della chiesa; si tratta anche di una vasta base di membri su cui gli esponenti menzogneri possono fare, e fanno, affidamento. Non so se sia il caso di generalizzare, ma mi pare che oggi certe nostre chiese abbiano i rappresentanti che si meritano. I cristiani tristi, che vivono in mezzo a mille perplessità, pieni di cautele, passando da un compromesso all’altro, non possono aspettarsi che le loro autorità siano dei santi. I mali che affliggono l’intera nostra società li ritroviamo anche nelle nostre chiese; là si manifestano però in modo ancor più abominevole e ripugnante, forse perché cercano di parere belli e vengono dissimulati più spesso. E se mi guardo indietro mi convinco sempre più che la nostra situazione comune potrebbe andare diversamente, avere più prospettive, se negli ultimi anni tutti i cristiani del nostro paese si fossero comportati da veri cristiani. Ma hanno mentito; nove anni fa molte volte le bocche dei loro rappresentanti espressero il loro rammarico e riconobbero questo. Però, non di rado quegli stessi che allora si pentirono e fecero l’autocritica oggi rifanno quello di cui allora si pentirono. Solo che nessuno ormai crede che si pentiranno di nuovo. Se tu, o qualunque altro, hai oggi dei dubbi sul futuro del cristianesimo, ti capisco benissimo e non ho intenzione di farti cambiare idea. Io stesso ho i miei dubbi sul futuro dei cristiani e delle chiese cristiane nel nostro paese (soprattutto nel nostro paese, anche se ho l’impressione che altrove le cose non vadano meglio). La vita dei cosiddetti credenti e la vita delle chiese è (e ormai sempre più spesso) un’enorme vergogna; ogni volta che ci penso non smetto di vergognarmi. Comunque l’infamia più grande è che quando ci sono delle persone che prendono la loro fede più seriamente degli altri e per questo passano dei guai, molti, forse la maggioranza, prendono prudentemente le distanze da loro (per non doversi sentire colpevoli nelle proprie coscienze) e ovviamente annuiscono, invece di richiamarli all’ordine, quando prendono le distanze da loro i rappresentanti delle chiese. Non potrò mai dimenticare la pillola amara (quante ne ho dovute ingoiare negli ultimi anni) di quando Sváťa Karásek finì in carcere e in tribunale allorché decise, non potendo più parlare dal pulpito, di parlare con le proprie canzoni; e quando lo studente Tydlitát che lo aveva ricordato nella preghiera durante l’ufficio divino, fu costretto ad abbandonare la facoltà. Fu un fatto incredibile: uno studente di teologia viene allontanato dai suoi professori dalla facoltà per essersi comportato come avrebbero dovuto (più o meno) comportarsi loro. Questi professori possono sperare che qualcuno li prenderà ancora sul serio quando parleranno di Cristo e del Vangelo? E quando, facendo l’autocritica, confesseranno le loro colpe? E che cosa ha fatto o detto di cristiano il consiglio sinodale? E i seniori e il consiglio dei seniori? E tutti i consigli? Le voci di critica, di rifiuto, erano un’eccezione. A che serve una chiesa in cui del cristianesimo sono sopravvissuti solo degli stereotipi devozionali?

Se dovessi dire il mio parere circa il futuro del cristianesimo, o meglio della fede, tenendo conto della situazione della nostra chiesa (delle altre preferisco non parlare, è un compito dei fratelli che ne fanno parte) dovrei dire; il crak, la fine, la catastrofe. Certamente io non conosco il cristianesimo solo dall’esterno; so che differenza c’è fra la situazione di fatto e quello che è il contenuto della «buona novella», del Vangelo, per il nostro tempo e per […]. Non conosco un altro programma più pieno di speranza, e anche più oggettivo, più reale, per questo mondo minacciato da ogni parte, oppresso da innumerevoli paure e quindi in uno stato di pericolo: ma mi pongo già da tempo una domanda: come esprimere questo? Che cosa devo dire per non dissuadere, ma conquistare l’uomo? Come possono essere convincenti le mie parole, se dalla collettività dei cristiani emerge il fetore della decomposizione? E quando questo fetore esce anche da me?

Penso che sia inadeguato e sostanzialmente inutile dare una risposta teoretica alle tue e ad altre domande simili. Solo i fatti qui occorrono, solo nella vita pratica si può decidere di questo. La lotta per l’applicazione delle leggi e il rispetto dei diritti civili e delle libertà umane è l’occasione per agire, per dimostrare in pratica che il cristianesimo vive ancora; ma ci sono anche altre occasioni meno vistose. Però l’occasione viene e poi se ne va; inutile convincersi che non l’abbiamo vista, che non era quella l’occasione della nostra vita. Qualunque cosa non avete fatto a questi poveri diavoli, offesi, calunniati, traditi, perseguitati dalla polizia e dai tribunali, nel lavoro e a scuola, a cui sono stati negati il lavoro e la possibilità di studiare, sul cui conto sono state divulgate menzogne, calunnie, ecc. ecc. non lo avete fatto a me. A che servirà che poi versiamo lacrime, rimpiangiamo quello che non abbiamo fatto e quello che abbiamo fatto, a che servirà che porti tutto questo un altro […]. Chi non ha raccolto una qualche grande occasione, ormai l’ha persa. Poiché la grande occasione è sempre solo qui e ora. Hic Rhodus, hic salta, cristiano. La fede si deve manifestare nel quotidiano, nelle vicende umane. Che cosa leggiamo nel profeta Isaia?

«Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero? – dice il Signore – Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io li detesto; sono per me un peso; sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».

Quale cristiano oppresso oggi io soccorro? Quale oppresso soccorri tu, che ti dici cristiano, sì, tu che credi con sicurezza di esserlo? Chi qui e ora, in questo paese, aiuterai a trovare giustizia? Oppure preferisci un altro lavoro più pio?

Come vedi termino solo con una domanda.

Praga, 14 aprile 1977.