- in: Lettere a un amico, Bologna: Centro Studi Europa Orientale, 1979, str. 199–207
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- Dopis příteli č. 20
Caro amico,
c’è qualcosa di vero nella tua impressione che Charta 77 abbia per così dire esaurito la sua carica interiore. Già si sente dire che non c’è tempo da perdere e che occorre scioglierla prima che sia logorata dai fallimenti. Ci sono anche altre voci che suggeriscono di rivedere il progetto originario, soprattutto nel senso di una migliore organizzazione e quindi di una maggiore efficacia (questa è solo l’altra faccia dell’impressione che su questa strada non si può andare avanti). In breve, è generale l’impressione che nella Charta e con la Charta qualcosa è finito o che per lo meno si conclude una tappa. Bisogna però riconoscere che in un certo senso la Charta ha adempiuto al compito che si era proposta; dubito che qualcuno potesse aspettarsi qualcosa di più di quello che si è ottenuto. Chi firmò certamente prevedeva di andare incontro a difficoltà. Tuttavia, almeno per un po’ di tempo, la morte del prof. Patočka ha lasciato tutti sgomenti e come paralizzati. Anche se tutti abbiamo preso sul serio la nostra firma, certamente non pensavamo che per qualcuno di noi sarebbe stata una questione di vita e di morte. Ma il prof. Patočka ci ha dimostrato che in questo caso non si tratta di qualcosa di temporaneo o di effimero, bensì di un impegno totale; egli ne ha dato personalmente l’esempio e con coscienza, come risulta da tutte le sue parole. Ho l’impressione che non siano state in primo luogo le repressioni ad attenuare la nostra attività, ma la grandezza dell’impegno (che la morte di Patočka prova senza possibili ambiguità). Oggi è ormai evidente che non si è trattato di una manifestazione di stanchezza, di debolezza, ma piuttosto di una pausa per riprendere le forze; così almeno mi sembra. Lo provano la ripresa nelle file dei firmatari e dei simpatizzanti, che a poco a poco raggiunge il livello iniziale, e soprattutto il fatto che la maggioranza di noi non si accontenta di mantenere lo stato attuale delle cose. Quasi tutti ci chiediamo dove muovere i nostri passi futuri. Questa domanda si fa sempre più urgente; la risposta però non viene da sola e in genere non è neppure naturale. Bisogna riflettere molto e a fondo. E bisogna parlarne. Perciò si discute di questo anche fra i firmatari. Cerco di formularti il mio punto di vista e anche di accennare ai motivi che mi portano ad esso.
Nella prima dichiarazione di Charta 77 si dice chiaramente che Charta 77 è «una comunità libera, informale, aperta», che «non è un’organizzazione», che «non è una base per un’attività politica di opposizione» e che vuole «servire come intermediaria in eventuali situazioni conflittuali». Quindi Charta 77 «non intende avanzare propri programmi di riforme e mutamenti politici o sociali», ma vuole soprattutto «far presente i diversi concreti casi di violazione dei diritti umani e civili» e «condurre nel suo campo di attività un dialogo costruttivo con il potere politico e statale». Tutto questo di per se stesso non dovrebbe ancora significare molto; la situazione cambia, le cose si evolvono. Eppure penso che si commetterebbe un errore grossolano se in questo frangente si dovesse cambiare qualcosa. In una situazione in cui tutta l’opinione pubblica è stata di nuovo sfrattata dalla società e soffocata al punto da diventare di fatto un’«opinione pubblica silenziosa», sono comparsi i primi segni di integrazione delle iniziative di individui e di gruppi in una specie di piccola oasi di pensiero e di vita spirituale, culturale e politica (o meglio apoliticamente politica) indipendenti, in cui un numero non grande ma significativo e sempre crescente di individui fa valere la propria libertà e – come spero – continuerà sempre più a farla valere. La solidarietà reciproca fra coloro che hanno il coraggio di affermare questa libertà è certamente necessaria e auspicabile: però essa ha senso e serve solo a patto che non crei un’uniformità. Non è con provvedimenti organizzativi che si incrementa la libertà; la libertà cresce e si rafforza solo per le iniziative di individui che prendono su di sé la responsabilità e il rischio di realizzare, affermare e difendere qualcosa che può dare un senso alla vita dell’uomo e in cui la vita dell’uomo può trovare un punto fermo. In questa fondamentale responsabilità umana (quando l’uomo con tutto il suo essere risponde alla chiamata, a cui deve aprirsi per poterla sentire e seguire) non ci si può far sostituire, qui ognuno è sempre solo con la propria coscienza. Qui nessuno può e neppure ha il diritto di decidere per noi: ci può solo aiutare ad orientarci meglio in questa situazione, a vedere meglio, in una luce più netta, la responsabilità a cui in un dato momento siamo chiamati; oppure qualcuno può anche confonderci, può portarci all’inganno e all’illusione, metterci fuori strada, offrirci una soluzione a buon mercato, confezionata, che altri hanno preparato per noi. Non è mai evidente a prima vista di chi ci si può fidare e di chi no (poiché se è evidente, lo è solo in senso negativo e in questo caso non c’è rischio); bisogna avere esperienza e anche buon senso, bisogna dare saldamente un senso a questo, poiché alla fine è da soli che dobbiamo decidere e da soli dobbiamo difenderci dal pericolo che qualcuno ci faccia deviare.
Charta 77, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e i Patti internazionali sono, nella loro più intima essenza, l’espressione della coscienza che è necessario rispettare la libera responsabilità che ogni uomo e ogni cittadino ha nell’impostare e nell’orientare la vita e il pensiero, della coscienza che ogni uomo è chiamato a questa responsabilità in prima persona e non può rinunciare né per ordine di altri, né per ordine della società, né per ordine di un’organizzazione o di un’istituzione, né per ordine dello stato, della nazione, della classe. Purtroppo nelle società moderne questa dimensione dell’umanità viene dimenticata. L’idea di Charta 77 appare così importante non solo per la nostra società ma per il mondo intero, proprio perché richiama a questa radice più profonda, all’origine di una esistenza realmente umana nel mondo. Non si può certo dire che il richiamo fatto dalla Charta sia stato esauriente. Il prof. Patočka ne fu consapevole molto più della maggior parte dei firmatari; disse, durante uno dei nostri ultimi incontri: «Dovrete studiare a fondo in che cosa veramente sono radicati i diritti e la libertà dell’uomo e come esprimere questo nel modo più convincente». Comunque, anche nell’imperfezione della forma, il richiamo è presente e non è offuscato dall’idea della presunta naturalezza dei diritti e delle libertà dell’uomo. L’uomo, cioè, non fa valere i propri diritti e le proprie libertà (in genere la propria libertà) come se fossero una disposizione naturale, una parte del corredo con cui entra nel mondo: li fa valere, invece, come risposta a una proposta, una chiamata con cui per caso si incontra e che può anche fraintendere se è troppo preso da se stesso, dalle proprie possibilità, dal proprio talento e dalla propria vocazione. Tutto questo non è privo di importanza, ma ha senso solo se lo mettiamo al servizio di qualcosa d’altro rispetto a noi e al nostro gruppo (che è solo un «noi» allargato). Se disgraziatamente si arrivasse a fare di Charta 77 un’organizzazione o un’istituzione, se essa diventasse un movimento autoritario con un programma saldo e vincolante e con una disciplina ferrea, se diventasse un’opposizione (e quindi un partner politico del potere costituito attuale o di un qualsiasi potere futuro), perderebbe questa sua «posizione» determinante, cioè il positivo del richiamare a qualcosa che supera ogni raccolta di principi e di norme, ogni sistema organizzativo e ogni statuto, ogni decreto e ogni dichiarazione, ogni idea e ogni dottrina: quel qualcosa a cui ogni idea e ogni dottrina, devono richiamare e a cui devono lasciare l’ultima parola. Se perdesse questa sua «positività» determinante, Charta 77 diventerebbe solo una delle tante idee, dottrine, posizioni politiche, o eventualmente uno dei tanti « partiti», insomma arriverebbe al punto in cui bisognerebbe ricordarle che essa non è il giudice supremo per definire ciò che è giusto, morale, vero ed equo (proprio come non lo è nessun gruppo di potere e nessuna opposizione autoritaria). In questo caso si creerebbe un vuoto fino al momento in cui non si trovi di nuovo un paio di uomini che non intendono fondare né organizzare un partito politico, che non vogliono definire un proprio programma di riforme o di mutamenti politici e sociali che non vogliono costituire la base né per una attività politica di opposizione oggi né per una qualsiasi politica autoritaria domani. Finché, quindi, non sorgerà una nuova oasi di opinione pubblica libera e di libertà pubblicamente affermata, fondata solo sull’iniziativa individuale della responsabilità e del coraggio personale, quindi su fatti che sono risposta alla chiamata, i cui autori non sono altri individui o loro creazioni (come organizzazioni, istituzioni o un’altra società) e il cui destinatario è ogni individuo in sé e per sé. Nessuno rappresenta e nessuno può lasciarsi rappresentare.
Il valore della responsabilità personale e dell’affermazione individuale della libertà non viene sminuito ma anzi è accentuato dal fatto che nella società nessuno possa sottrarsi a uno sforzo comune organizzato e sistematico in cui un gruppo trova una convergenza oppure una concordanza esplicita e segue un programma concordato. Sappiamo forse tutti che non è possibile affermare i propri diritti e realizzare le proprie libertà, neppure sul piano individuale, senza l’aiuto degli altri. Anche quando ad una prima impressione sembriamo isolati nella nostra lotta abbiamo bisogno di questi altri, perlomeno come partner che ascoltano anche se disapprovano. Per essere libera, l’istruzione non ha bisogno solo di scolari e di studenti chiamati alla libertà e in questa libertà rispettati, ma ha anche bisogno di genitori liberi e di insegnanti liberi. Uno scrittore libero e un giornalista libero hanno bisogno di una stampa libera, cioè di un editore libero, di redattori liberi e indubbiamenti anche di lettori liberi. Un cittadino libero ha bisogno di un giudice libero, ma anche il giudice libero ha bisogno di cittadini liberi. Un credente libero ha bisogno che siano liberi il seguace dell’altra confessione e l’ateo (viceversa, se viene ridotta e annullata la libertà dei credenti viene annullata anche la libertà degli atei). E per questo che diciamo che la libertà è indivisibile: se un mio concittadino, anche se è un avversario politico, è limitato nella sua libertà, anch’io de facto lo sono. E da questa riduzione che colpisce entrambi, noi dobbiamo difenderci insieme, cioè non dobbiamo difendere solo noi stessi, ma anche l’altro. Soprattutto colui che da solo non riesce a difendersi o al quale la difesa è addirittura impedita. In quanto citradini liberi e chiamati alla libertà, noi abbiamo in comune questo fronte di lotta contro gli attentati alle libertà umane e civili e non possiamo – se capiamo di che cosa di tratta – non essere solidali anche con tutti gli avversari politici e ideologici, ma soprattutto con chi è peggio di tutti perseguitato, oppresso e calpestato.
Secondo il mio giudizio, Charta 77 è l’espressione e l’esempio eccellente di questa umana solidarietà come società «aperta» senza confini netti e definiti, dalla quale nessuno viene e forse verrà mai escluso se egli stesso accetterà questa apertura e se, nel rispetto della libera responsabilità e della libertà responsabile degli altri, resterà unito anche a chi non è d’accordo con lui (questo non vuol dire che debba soffocare la propria disapprovazione). Con tutto ciò è naturale che cerchi forme di collaborazione concrete e quindi anche organizzate con quelli che sono di questa idea, con egli va d’accordo e loro vanno d’accordo con lui. Questo succede e succederà anche fra i firmatari di Charta 77 e certamente anche a coloro che per i motivi più diversi non hanno apposto la propria firma, ma che tuttavia concordano con la Charta o a cui essa è almeno simpatica. A mio parere, però, si commetterebbe un grosso errore se questa alleanza nascesse sotto l’insegna di Charta 77 oppure addirittura come un suo organo e, quindi, se certe sue iniziative concrete dovessero essere identificate con le iniziative della Charta in quando tale. Fra i firmatari di Charta 77 esistono diversità di idee e di programmi ed è naturale, anzi è necessario, che esse si manifestino. Ma se una data idea, una data posizione o un programma venissero intesi come ufficiali o addirittura venissero presentati come tali, mentre in realtà sarebbero una riduzione dei piani e degli interessi, si provocherebbe una tensione interna e probabilmente una rottura, e questo significherebbe davvero la fine di Charta 77 in quanto tale. D’altra parte, considerato l’ampio ventaglio di idee, sopratutto per i firmatari più noti della Charta, questo potrebbe rappresentare un ostacolo nell’impegno e nell’iniziativa personale e anche i firmatari meno noti si troverebbero spesso davanti al dilemma se in quello che intendono fare possono presentarsi come firmatari oppure no.
Penso quindi che tutti i tentativi di elaborare dei programmi e delle attività concrete nell’ambito di tutta la società dovrebbero partire dal principio in cui consiste Charta 77 (e la Dichiarazione universale e i Patti internazionali) e dovrebbero rispettarlo con tutte le conseguenze che ne derivano, dovrebbero però anche nelle proprie motivazioni valersi di argomenti oggettivi senza fare appello all’autorità della Charta e senza considerare o addirittura proclamare indispensabile il consenso o la collaborazione degli altri firmatari. Gli argomenti che servono a provare la necessità di una iniziativa, dei suoi obiettivi e della sua realizzazione, devono risultare validi e vincolanti sia per chi ha firmato sia per chi non ha firmato: anzi in questo modo si applicherebbe nella prassi quella apertura di principio a cui la Charta si richiama.
Come ho già detto, negli ultimi tempi, le acque si sono calmate. Non possiamo ancora dire con sicurezza se si tratta di un fenomeno passeggero; sembra tuttavia che un’eventuale ripresa dell’isterismo ufficiale non durerà a lungo, anche se per il momento non lo possiamo escludere del tutto. Il centro di gravità del nostro lavoro si sposterà quindi gradualmente ma stabilmente verso iniziative concrete che non porteranno il contrassegno ufficiale di Charta 77, ma saranno proiettate e realizzate nel suo spirito e, nella stragrande maggioranza, anche con la sua approvazione.
Finora l’attenzione generale è stata polarizzata sulla violazione dei diritti umani e civili, in futuro dovremo orientarci a cercare con spirito creativo gli ambiti in cui i diritti proclamati e codificati non sono applicati, oppure lo sono solamente in misura ridotta e sporadica.
Praga, 18 agosto 1977.