- in: Lettere a un amico, Bologna: Centro Studi Europa Orientale, 1979, str. 21–27
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- Dopis příteli č. 1
Lettera n. 1
Illustre e caro amico,
comprendo molto bene le tue perplessità davanti al mio rifiuto di accettare e trasmettere la tua lettera e capisco anche bene la tua rabbia per il modo di procedere dei giornali, della radio e della televisione che cercano di gettare fango su tutta la faccenda. Ma ho valutato il senso che avrebbe avuto una tua partecipazione attiva: saresti stato immediatamente allontanato dalla scuola che sei riuscito ad ottenere dopo tre anni di attesa. E la società invece ha bisogno di esperti preparati e istruiti e non di uomini che hanno sì compiuto una volta un gesto di coraggio, ma che non possono fare più nulla. La menzogna non sta nel fatto di non poter mettere la tua firma in calce a quello che consideri ve rità; io sono propenso a non considerare menzogna la prudenza. La menzogna comincia quando tu sottoscrivi il falso oppure – il che è sostanzialmente lo stesso – quando di tua iniziativa cominci a concepire ragioni diverse e migliori di quelle che sono realmente le tue ragioni e quando cominci a schernire le decisioni di altri uomini che hanno preferito il rischio di un conflitto temporaneo. Del resto i giorni non finiscono; avrai ancora settimane e mesi per poterti assumere anche questo rischio. Ma io suggerisco di aspettare; e fino a quel momento avremo la possibilità di tentare di chiarire alcune questioni importanti di carattere più generale.
Partiamo per esempio dalle tue frasi: «Non capisco molto bene perché solo adesso si sia arrivati a questa protesta…». Ogni cosa ha il suo tempo, il suo «kairos», la sua scadenza; in genere non è facile discernere questo momento. Talvolta è possibile, talvolta no. Questa volta direi che è stato possibile; vorrei indicare i motivi che mi fanno esprimere questo giudizio. Per noi hanno avuto una grande importanza i processi ai gruppi Plastic People of the Universe e DG 307 (e i processi celebrati in precedenza a Plzeň). In essi è emerso qualcosa di nuovo: per la prima volta dal 1969 si è formato nel nostro paese un ambito di persone che si oppongono e protestano, manifestano insieme solidarietà con i condannati (nel 1971–72 a protestare furono solo gruppetti o singoli individui all’estero); oltre a suscitare le proteste internazionali, questa gente ha ottenuto per la prima volta anche dei risultati concreti; la riduzione delle pene di Plzeň durante il procedimento d’appello, il cambiamento del testo dell’accusa a Praga, la riduzione del numero dei condannati (almeno per il primo processo), sentenze più miti a Praga per i principali imputati rispetto a Plzeň dove erano stati giudicati solo gli organizzatori. Questo dimostrava che dopo un lungo periodo di tempo la situazione politica ritornava ad essere mobile. Questo, d’altro canto, doveva gettare una luce nuova su Helsinki e sul successivo incontro di Belgrado.
All’atto della sua pubblicazione, il testo degli accordi di Helsinki alimentò delle speranze; queste però crollarono presto, quando si spiegò che essi non implicavano nulla per la vita interna del paese. Era evidente che il peso maggiore gli accordi dovevano averlo nei rapporti internazionali e qui avevano un solo se non unico significato, quello di ribadire lo status quo, di riconoscere i confini delle sfere di influenza e di interesse. Però nel 1976 si ebbe il poco vistoso, ma più importante, atto di ratifica dei due importanti Patti internazionali da parte dell’ Assemblea federale. I patti furono ratificati alla fine di marzo, ma furono pubblicati nella Raccolta delle leggi alla metà di ottobre dell’anno scorso nel completo silenzio. Tuttavia veniva già fissato un primo compito: tutti i cittadini devono venire a conoscenza, tutti i cittadini devono prendere atto di quello che significa la ratifica di questi patti sottoscritti dalla Cecoslovacchia già nel 1968, cioè che essi diventano parte integrante del nostro ordinamento giuridico, che sono quindi nostre leggi, alla luce delle quali dovranno in futuro essere interpretate tutte le leggi vigenti, e se alcune formulazioni più antiche risulteranno antitetiche rispetto alla nuova legge esse dovranno essere abrogate o rielaborate. Occorreva fare qualcosa che destasse l’interesse del maggior numero possibile di cittadini intorno ai due Patti internazionali, alla Dichiarazione universale, ai diritti umani e alle libertà civili in genere e soprattutto intorno al fatto che è ormai aperta la via legale all’iniziativa dei cittadini, attraverso la quale potrebbe venire un appoggio all’attività dell’ Assemblea federale e del presidente della repubblica e che potrebbe contribuire a fare entrare i due patti nella vita quotidiana.
Tuttavia, ogni cittadino che è venuto a conoscenza della ratifica e che si è già studiato a fondo il famoso testo n. 120 della Raccolta delle leggi, parte 23, del 13 ottobre 1976 (se non conosceva già da prima i due patti) ha dovuto necessariamente porsi un’altra domanda: come è possibile che nel nostro ordinamento giuridico entrino a far parte queste nuove leggi che sono in palese conflitto con la prassi dei nostri organismi statali, cioè la polizia, i tribunali e gli altri uffici? Ci sono due risposte possibili a questa domanda: si tratta dell’inizio della lotta per una politica nuova oppure si tratta di un’altra manovra diversiva, di uno specchietto per le allodole in vista dell’incontro di Belgrado. Sarebbe difficile stabilire di quale delle due risposte i cittadini dovranno, d’ora in poi, tener conto, anche se gli umori della maggioranza propendono per la seconda ipotesi. Anche per questi altri motivi diventava quindi necessario fare qualcosa che fosse in sintonia con i due patti e tenesse conto del loro significato più specifico, al fine di dimostrare come stanno effettivamente le cose. Era necessario, insomma, usare una specie di sonda che mettesse in luce ciò che era rimasto in ombra e su cui erano possibili solo delle congetture – sia da parte di chi sperava in una applicazione pratica dei patti, sia da parte di chi poteva solo temere qualcosa del genere.
C’è anche un terzo motivo. Si avvicina la scadenza dell’incontro di Belgrado in cui si dovrà controllare e valutare come sono stati rispettati e applicati gli accordi di Helsinki. Ratificando i patti, inoltre, il nostro stato si è impegnato a dare informazioni sulle disposizioni prese e sui progressi compiuti nel rispetto dei diritti riconosciuti da entrambi i patti. Questo vuol dire che i rappresentanti del nostro stato dovranno fare delle relazioni sia a Belgrado sia, di quando in quando, anche al segretario generale dell’ONU. Ai cittadini non può non interessare se queste informazioni sono vere o sono false. Certamente al primo posto sta il compito di come applicare nel nostro stato, nella nostra società, i patti sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali. Ma non possiamo sottovalutare l’opinione pubblica mondiale, dobbiamo anzi fare di tutto perché, con la sua simpatia e il suo aiuto, sostenga gli sforzi per applicare anche nel nostro paese i diritti umani. Ma un appoggio potrà essere reale, duraturo e sincero, solo se ogni cosa apparirà nel suo vero aspetto e in piena luce. Ma l’opinione pubblica mondiale sarà titubante e la sua voce si affievolirà se si dimostrerà che ha insistito su informazioni inesatte e su una valutazione errata degli avvenimenti e dello stato delle cose. Tuttavia sono per lo più i più deboli che reclamano la verità; nelle mani dei prepotenti e di chi detiene il potere la verità cessa presto di essere verità e si trasforma in mezza verità e in menzogna. Siccome nel nostro paese i difensori dei diritti umani sono proprio questi più deboli, non possono trascurare nessuna occasione di illustrare correttamente la realtà e di diffondere la verità e informazioni vere usando tutti i mezzi e tutte le strade – quindi anche attraverso i circoli dei difensori stranieri dei diritti umani e in genere anche ricorrendo ai mezzi di comunicazione stranieri, se quelli in patria sono loro negati (in contrasto con le nostre leggi).
Ecco, è nata così l’idea di Charta 77, che fin dall’inizio è stata sostenuta con l’apposizione della propria firma da persone dalle idee più diverse che tuttavia erano unite su una cosa di fondo: cioè che bisogna farla finita una buona volta con l’arbitrio e la violenza, con le illegalità e le ingiustizie che tornano a diffondersi pericolosamente nel nostro paese. Così è potuto accadere che comunisti e marxisti abbiano espresso il loro appoggio alla lotta per la libertà religiosa e, dall’altro canto, che i cristiani abbiano dato il loro appoggio ai comunisti e ai marxisti discriminati e pubblicamente attaccati. Così è potuto anche accadere che contro la discriminazione nell’ammissione dei fanciulli alla scuola media o a quella superiore protestino anche coloro i cui figli e le cui figlie possono studiare o hanno già compiuto gli studi, oppure che contro il fatto che alcuni non possono lavorare nel proprio ramo, protestino altri che invece lavorano nel proprio campo senza incontrare difficoltà. Per i democratici è naturale questo principio: anche se con qualcuno non sono d’accordo, rispetto e sostengo il suo diritto di manifestare e rendere pubbliche le proprie idee (se non vuole minare l’identico diritto degli altri). Anche se su qualcosa io ho idee diverse o del tutto opposte, sono solidale con il mio avversario, se egli è calunniato, ingiustamente diffamato e, soprattutto, se non può difendersi da solo. Quindi Charta 77 non è la piattaforma politica di uomini con orientamenti politici identici o vicini, ma è l’espressione della loro solidarietà fondamentale con i principi dei diritti inalienabili che non possono essere negati arbitrariamente a nessuno; ed è anche l’espressione dell’onestà civile e politica di uomini che non vogliono conquistarsi il loro posto nella società tirando colpi bassi, ma che non intendono neppure permettere procedimenti ingiusti e illegali sia che essi colpiscano loro stessi sia un qualsiasi altro membro della nostra società. Le «voci del popolo» ufficialmente presentate come spontanee, ma in realtà effetto di un’abile orchestrazione, lasciano intendere bene i principi morali (o amorali) dei cosiddetti critici di Charta 77. In una rubrica radiofonica trasmessa più volte, centinaia di migliaia di ascoltatori hanno potuto conoscere lo sdegno con cui è stata definita «spudoratezza» la firma che Hanzelka aveva apposto ad un testo che denunciava come a numerosissimi giovani fosse negato il diritto all’istruzione a causa delle loro idee o addirittura per le idee politiche dei genitori – eppure a quanto pare suo figlio ha potuto studiare. Così attraverso la nostra radio è stato divulgato il principio: se i tuoi figli studiano, non t’impicciare se i figli degli altri non possono studiare. Anzi questa «morale» singolare è stata assunta anche da un professore universitario di anatomia, il quale, nell’azione di condanna a Charta 77, non si è vergognato di dire che a lui non sono mai stati impediti la ricerca e i viaggi all’estero e che ha finto di non vedere le altre decine di migliaia a cui questa libertà è stata negata. Ma di questa «morale» parleremo forse ancora in altra occasione. Del resto sarà molto istruttivo esaminare più da vicino i dettagli di tutta questa campagna isterica contro la Charta e i «chartisti». Oggi ho voluto solo accennare ai motivi principali che hanno mosso i firmatari – almeno come li vedo io. Accetta il mio saluto e l’invito alla riflessione.
Praga, 10 gennaio 1977.