Lettera n. 17
docx | pdf | html ◆ článek | korespondence, italsky, vznik: 7. 7. 1977
  • in: Lettere a un amico, Bologna: Centro Studi Europa Orientale, 1979, str. 169–177

Lettera n. 17

Caro amico,

non faccio fatica ad ammettere che in più punti la mia ultima lettera lasciava un po’ a desiderare: anzi, mi sorprende che tu non abbia riscontrato qualcosa di analogo anche in quelle precedenti. Infatti, quando mi metto a scriverti, non ho l’intenzione di fare dei trattati. Pertanto, nulla nelle mie frasi deve essere preso come definitivo, concluso; tutto è solo un contributo alla discussione. Io scrivo di getto, senza un lavoro preparatorio e senza minute. Se in qualche punto risulta che non sono stato preciso, che ho esagerato o commesso degli errori, sono lieto di potermi correggere. Devo anche chiedere scusa se qualche lettera non mi riesce: succede anche questo. Per venire all’ultima lettera, riconosco che nella sua prima parte può dare fastidio per quella valutazione per così dire un po’ troppo positiva dei comunisti (anche se si tratta solo di alcuni comunisti, come ho tenuto a sottolineare). In particolare, riconosco di aver aggirato la domanda sul mio rapporto con il comunismo. Forse però sono riuscito almeno ad indicare che esso è abbastanza simile a quello che ho con il cristianesimo, vale a dire che riscontro nei suoi errori una somiglianza, in certo qual modo deformata, con gli errori commessi in passato dai cristiani.

Fra comunismo e cristianesimo esiste un rapporto molto stretto: il comunismo è nato su un terreno cristiano ed è storicamente impensabile senza il cristianesimo. Cristianesimo e comunismo portano su di sé dei tratti europei caratteristici e incancellabili. La recente polemica sull’idea e la realtà del cosiddetto eurocomunismo e in particolare le critiche dell’Unione Sovietica e in genere dei paesi dell’Europa orientale trascurano completamente il fatto che il comunismo è un’idea europea e che quindi il comunismo reale è «eurocomunismo». Lo stesso vale per il socialismo; anche il socialismo è impensabile senza le premesse della cultura e della civiltà europea e al di fuori dell’evoluzione del pensiero europeo. Mi viene in mente che anni fa, di ritorno da un viaggio in Cina, Hromádka si chiedeva se il marxismo possa imporsi in un paese che non sia passato attraverso il cristianesimo. A modo nostro, ci potremmo domandare che incidenza ha avuto sul socialismo e sul comunismo mondiale il fatto che si siano per la prima volta affermati potentemente in un paese che non è stato segnato dal cristianesimo occidentale (cioè né dal cattolicesimo né dalla riforma) e che non è passato attraverso il Rinascimento. Da questo già doveva essere sostanzialmente condizionata la realizzazione del programma di Marx ed Engels. Così anche il socialismo e il comunismo sovietico subirono delle modificazioni rispetto all’originaria immagine europeo-occidentale per il fatto di non potersi richiamare a tradizioni democratiche più radicate. Il diffondersi dell’ideologia marxista e dei programmi marxisti in società in cui mancavano e mancano le premesse su cui il marxismo si è formato, costituisce nel mondo contemporaneo un fatto su cui ancora meditiamo e che è fonte di molte preoccupazioni per il mondo intero. Ma qui interviene l’analogia con il modo in cui il cristianesimo si diffuse in un mondo che non poteva riallacciarsi alla tradizione ebraica perché non la conosceva e le era estraneo. Il cristianesimo si diffuse con successo – inteso in senso sociologico e storicoculturale – sia perché riuscì ad assimilare la cultura ellenistica e in genere la tradizione greca e romana (e poi anche la cultura e la tradizione di altri popoli), ma anche perché non rinunciò mai al fondamento su cui era nato e in polemica col quale si era formato, cioè le tradizioni ebraiche e israelitiche. Naturalmente ne fece una scelta, ma arrivò fino ad assumere, e non solo formalmente, meccanicamente, l’intero canone veterotestamentario. I testi del Nuovo Testamento citano ampiamente quelli del Vecchio e in genere hanno con essi un legame sostanziale. Qualcosa di questi nessi fu intuito dagli esponenti della Cina rivoluzionaria quando, alla metà degli anni cinquanta, fondarono cattedre e intere facoltà del pensiero di Kant, di Hegel ecc. Capirono che Marx e il marxismo non potevano essere veramente assimilati senza penetrare la sostanza della filosofia tedesca classica. Questo tentativo ebbe però, purtroppo, una breve durata e non fu abbastanza coerente, dato che le premesse senza cui il marxismo è impensabile sono sostanzialmente di più.

Non possiamo dimenticare anche un altro aspetto della faccenda. Quando il cristianesimo si riallacciò alla più antica tradizione israelitica, in particolare a quella dei profeti ebraici, la società ebraica era scossa da un rivolgimento dietro l’altro e si era decomposta anche al proprio interno. Anche quando il cristianesimo tentò di assimilare il meglio dell’ellenismo, apparve presto evidente che, a parte lo stoicismo, non c’era niente che valesse; infatti i pensatori cristiani ritornarono al meglio che l’antica Grecia aveva dato al pensiero mondiale, a Platone e poi ad Aristotele. L’assimilazione durò molto a lungo, forse si potrebbe parlare piuttosto di uno stato prolungato di malattia, durante la quale ai cristiani crebbe a poco a poco il livello degli anticorpi. E quando la malattia fu definitivamente debellata, si trovò quasi sopraffatto anche l’organismo della «civilizzazione» cristiana, come si disse di questo strano rimasuglio della prostrata Europa. L’Europa cominciò a vacillare, a franare. Il poderoso slancio economico che si era fondato sullo sfruttamento del proletariato all’interno e su quello delle colonie all’esterno precipitò in un’improvvisa catastrofe. Cominciava la fine dell’Europa? Si approssimava la caduta dell’Occidente? Niente affatto. La fine non cominciava ancora, perché qualcosa di nuovo nasceva: nasceva il socialismo. Dopo i primi incerti passi, le guide del nuovo movimento trovarono un orientamento: se il socialismo deve avere un avvenire, se deve diventare l’avvenire dell’Europa e del mondo intero, deve richiamarsi a quanto di meglio l’Europa è finora riuscita a produrre, a dare all’umanità. Una volta Lenin indicò con molta efficacia tre delle principali sorgenti del marxismo: purtroppo ne tralasciò altre. Alcune altre si possono desumere dagli altri suoi studi. In particolare è degno di nota l’accento che Lenin pose sul fatto che la rivoluzione proletaria raccoglie da terra il vessillo calpestato dalla democrazia, abbandonato dalla borghesia reazionaria presa dal panico davanti all’avanzata della nuova classe. E a questo accenno prerivoluzionario di Lenin che si ricollega il cosiddetto eurocomunismo. Ne siano o no consapevoli gli eurocomunisti, si tratta di una faccenda di notevole portata, che non può ridursi al solo problema delle forme politiche della società socialista.

Dall’epoca della riforma, l’Europa è profondamente divisa. L’Europa cattolica fu sempre politicamente ed economicamente più arretrata di quella riformata, mentre entrambe si trovarono ugualmente impreparate davanti all’ascesa del proletariato. A poco a poco, le differenze si sono colmate e oggi, nonostante le aberrazioni di uno sviluppo diseguale, si può dire che l’integrazione economica e politica dell’Europa è solo una questione di tempo. È anche chiaro che la forma politica dell’Europa comune sarà quella democratica, anche se qua e là si avvertono i sintomi di una reviviscenza del fascismo o piuttosto di un prefascismo. Io non credo, infatti, a un ritorno effettivo del fascismo. Nella storia, nulla ritorna, nulla si ripete. Tutto indica che in Europa la partita con il fascismo è chiusa: il fascismo è stato sconfitto nel conflitto mondiale e non ha dato buone prove neppure nelle sue forme pacifiche. Il fascismo non ha futuro, perché manca di efficacia economica, è politicamente e socialmente reazionario (è, cioè, pura reazione, privo di una strada propria) ed è culturalmente sterile. Vive da parassita sulle crisi e le catastrofi della società, non è in grado di porre nulla di nuovo. Oggi potrebbe essere solamente una catastrofe economica. Però l’Europa è oggi al centro di una crisi economica, sembra tuttavia che ne abbia già superato la fase acuta, anche se la crisi durerà ancora a lungo. Si è visto che neppure i governi socialisti dell’Europa occidentale sanno come superare le difficoltà economiche. Nello stato di ristagno economico o addirittura di depressione, il rendimento del modo di produzione e di distribuzione occidentale (cioè capitalistico, europeo-occidentale, americano, giapponese) è superiore a quello del blocco socialista. Effettivamente superiore. Il che non deve per forza significare che sia superiore la sostanza dell’economia stessa. Io sono sempre rimasto imbarazzato nel constatare come da noi le cose andassero in qualche modo avanti, anche se la gente lavora poco e per lo più male e anche se la cattiva organizzazione provoca delle perdite enormi. Sta di fatto, comunque, che il cosiddetto socialismo reale non è riuscito a provare la propria superiorità economica sul capitalismo. Io non sono uno specialista, però mi sembra che nel cosiddetto socialismo reale i rapporti di produzione frenino lo sviluppo delle forze produttive nella stessa misura o addirittura di più che nel capitalismo. Sono però anche convinto che l’ostacolo maggiore resta sempre la struttura politica della società socialista che permette a degli inetti di decidere in situazioni di cui non sono all’altezza e che non sono in grado di capire. Senza dubbio, un aiuto potrebbe venire, almeno per un breve periodo, da un assolutismo illuminato: purtroppo, però, quello che di regola si impone è l’assolutismo senza lumi. Il rimedio io lo vedo solo nella democratizzazione della società socialista.

Oggi l’Europa è di nuovo divisa, ma in modo diverso rispetto al periodo che seguì la riforma. La differenza fra paesi cattolici e paesi riformati è praticamente scomparsa; il protestantesimo si è fatto reazionario e il cattolicesimo progressista. Il conflitto fra cattolici e protestanti (salvo eccezioni locali) si è sensibilmente attenuato. A prima vista potrebbe sembrare che gli individui abbiano smesso di occuparsi di religione. In realtà, quello che stava dentro il guscio delle guerre di religione era qualcosa d’altro: erano i problemi della coscienza. I problemi dello spirito, l’orientamento morale della vita umana; e anche la libertà di scegliere su che cosa fondare e ancorare la vita. E tutto questo oggi è di estrema attualità. Ecco il problema di fondo che ogni programma socialista deve affrontare: come risolvere le questioni economiche in modo che ogni uomo arrivi alla liberazione e non cada sotto la pressione e il condizionamento? Dopo la guerra dei trent’anni, l’Europa si rassegnò. Tornerà a rassegnarsi anche oggi?

Il futuro del comunismo dipende dalla sua capacità di riallacciarsi realmente (non solo in teoria) al passato dell’Europa, al meglio, a quello in cui consiste la storia dell’Europa e che l’Europa ha dato al mondo. Un socialismo e un comunismo che nascono su un terreno sociale oppresso non hanno speranza di sopravvivere a lungo. Un socialismo le cui leggi dividano, anziché unire i cittadini, finirà in rovina. Un socialismo e un comunismo che, qualunque sia il pretesto, ignorino o addirittura calpestino i fondamentali diritti umani e civili, si distruggono da soli. O meglio, cessano di essere socialismo e comunismo, dato che il socialismo e il comunismo sono figli di un programma democratico. Il socialismo era ed è ancora la speranza dell’Europa e del mondo intero. Ma a patto che la sua storia sia unita a quella della democrazia, cioè alla storia della libertà su questo mondo. Se così non sarà, l’evoluzione del mondo imboccherà altre strade.

Ho già detto più volte che mi considero un socialista; nutro quindi la fondata speranza che l’intima unione fra socialismo e democrazia sia possibile. Mi sembra però che non sia sufficiente. Il socialismo è propriamente solo un’applicazione su larga scala dei principi democratici. Ma la democrazia ha perduto le proprie origini, le proprie radici più profonde. Da dove viene la libertà dell’uomo? In che cosa gli uomini sono su un piano di parità? Su che cosa si fonda la loro fratellanza? Un grave errore dei comunisti e dei marxisti è stata la fede nell’onnipotenza dello sviluppo economico. Ma questo non era il pensiero di Marx. Marx pensava che i processi economici sono determinanti nella storia solo finché l’uomo non vede chiaro. Ma poi essi diventano solo uno strumento nelle sue mani ed egli arriva ad affermare la libertà. Il futuro del socialismo consiste quindi nel futuro della libertà.

Ammetto che questo può sembrare un po’ astratto. Cerco di spiegarmi in termini storici. Mi sembra che ancora una volta il futuro del mondo si deciderà in Europa (e non in America, in Asia o nel cosiddetto terzo mondo), ma si deciderà in Europa solo negli abissi più profondi. Dipenderà cioè dal fatto che si riesca a socializzare l’Europa occidentale o piuttosto a democratizzare quella orientale. Dopo l’ultima guerra mondiale i partiti socialisti hanno acquistato un notevole peso nell’Europa occidentale, però è mancata una socializzazione reale, non si sono fatti progressi (ci si è limitati alla sicurezza sociale, ma questo non basta). Il cosiddetto socialismo reale non solo non ha dilatato le strutture democratiche, ma le ha addirittura liquidate o svuotate anche laddove c’erano e avevano una propria tradizione.

Di quando in quando, nel corso della storia, popoli e intere civiltà vengono messi nella condizione di potere o di dovere rispondere a una data chiamata. A volte può accadere che tutti la fraintendano, oppure che non prestino attenzione a chi sente e interpreta questa chiamata. In questo modo, il tempo in cui è possibile rispondere alla domanda passa e si fa tardi. In altri casi la chiamata è talmente evidente che quasi tutti gli uomini dotati di ragione la avvertono, però non trovano la risposta adatta. Anche in questo caso si perde l’occasione. Nel corso di questo secolo, l’Europa si è trovata davanti a chiamate di diverse specie. Una delle principali è il rinnovamento della società in nome di una maggiore giustizia sociale. Questa chiamata è oggi avvertita ormai da tutti. Ma la risposta è stata solo parziale e imperfetta. Si farà ancora in tempo? Oppure si perderà l’occasione e sarà troppo tardi? In questo caso l’asse dell’evoluzione del mondo lascerà definitivamente l’Europa e la sua eredità. Che cosa significherebbe un fatto del genere nessuno di noi è in grado di prevederlo. In ogni caso esso significherebbe anche la fine del socialismo e del comunismo. Forse questa chiamata potrebbe offrirsi di nuovo all’umanità dopo un lungo periodo; ma non è detto che accada così e la storia prenderebbe definitivamente altre strade.

Come vedi, non perdo la speranza né pet il socialismo né per il comunismo. Al comunismo va la mia simpatia come tentativo europeo di superare i problemi dell’Europa (che si sono purtroppo insinuati in tutto il mondo); però ho il dubbio che il socialismo e il comunismo sovietico siano poco europei per risolvere i problemi dell’Europa. Per questo seguo con interesse la formazione e lo sviluppo del cosiddetto eurocomunismo. Non perdo la speranza neppure per il socialismo occidentale, ma mi sembra che gli manchino le forze intellettuali e morali sufficienti. La politica di alcuni partiti socialisti europei svela una superficialità e una mancanza di carattere sorprendenti. Penso che l’insistere sul rispetto dei diritti umani possa contribuire a un cambiamento nell’evoluzione della politica mondiale, a patto che gli stati e le società siano disposti ad ammettere le loro carenze e non si limitino solo a denunciare quelle degli altri.

Sul fatto che in questo secolo sia il socialismo sia in particolare il comunismo si sono grandemente screditati non si discute; il fiasco sarebbe stato maggiore se esistesse un’alternativa. Ma non se ne vede nessuna.

Praga, 7 luglio 1977.