- in: Lettere a un amico, Bologna: Centro Studi Europa Orientale, 1979, str. 43–49
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- Dopis příteli č. 4
Lettera n. 4
Caro amico,
mi hai preso alla lettera e mi chiedi se sono davvero quel democratico che credo di essere, visto che sono orientato al «rinnovamento e alla rigenerazione del programma socialista», che parlo di osservanza della «legalità socialista» e che non mi salta nemmeno in mente che nella nostra società e nel nostro stato possano esserci anche uomini che non solo non sono marxisti-leninisti, ma neppure socialisti. Qual è allora la differenza – domandi – fra i nostri comunisti, che non riconoscono altro socialismo se non il loro, e me che in fatto di socialismo ammetto sì un pluralismo ideologico ma poi insisto che bisogna restare nell’ambito del socialismo? Il succo della tua domanda suona: come posso motivare la mia tesi del collegamento del socialismo con la democrazia quale fondamento e premessa della costruzione di una società democratica?
Penso di aver toccato uno degli aspetti fondamentali del democratismo moderno e pertanto a questo problema dedicherò l’intera lettera. Per prima cosa, però, dobbiamo delineare il tema al negativo. Comincerò da un esempio concreto. Nel 1972 io fui (come molti altri) giudicato e condannato per il sospetto di aver commesso il reato, per il quale fui perseguito (e nel mio caso si trattò di un sospetto senza che venisse presentata alcuna prova), «di inimicizia nei confronti del regime sociale e statale socialista» (per quello che segue non ha alcuna importanza che io sia stato poi amnistiato e debba oggi essere nuovamente considerato un cittadino incensurato). In concreto questo significa che se due persone decidono di prendere la medesima iniziativa, una di loro può essere condannata e l’altra no in base al fatto se il motivo del loro agire era o non era «l’inimicizia per il regime socialista». A suo tempo Karl Marx fu molto preciso a proposito delle leggi che perseguono in maniera parziale e a proposito della situazione in cui il cittadino «è lasciato – scrive testualmente – in balia del terrorismo più orrido e della giurisdizione del sospetto». Ci vorrebbe per questo una spiegazione circostanziata; ma io vorrei a questo punto sottolineare solo un passo della sua critica laddove dice: «La legge che punisce l’opinione non è legge di uno stato per cittadini di uno stato: è la legge di una parte contro un’altra parte. La legge che persegue con parzialità annulla la parità dei cittadini davanti alla legge. È una legge che divide, non che unisce, e tutte le leggi che dividono sono leggi reazionarie. Non è più una funzione, è un privilegio. Uno può fare ciò che un altro non può fare e non perché non ne abbia le capacità, come ad esempio un bambino non può concludere dei trattati, ma solo perché si nutrono dubbi sul suo lealismo, sul suo modo di pensare». Così dunque abbiamo un aspetto dell’intera faccenda: il socialismo come orientamento, come convinzione, come modo di pensare, come idea, come programma. E a questo punto è possibile solo una conclusione democratica: ogni cittadino di uno stato socialista ha pieno diritto di esprimere liberamente il proprio eventuale dissidio con il socialismo e la propria critica ad esso. In particolare ha diritto al proprio modo di intendere il socialismo, sia che si identifichi con il socialismo cosi inteso, sia che ne prenda criticamente le distanze. Non esiste e non può esistere (in uno stato realmente democratico) nessun arbitro che decida quale concezione del socialismo sia corretta e quale no; possono esistere solo degli esperti che, per la loro cultura, le loro conoscenze e il loro modo di pensare preciso e metodico, godono di un rispetto che nessuna funzione ufficiale e nessun patrocinio del potere possono offrire. Le differenze di opinioni possono essere superate solo in una discussione che usi argomentazioni. Una regolamentazione che ricorra a strumenti amministrativi o autoritari è inammissibile e qualora esista è immorale e illegale.
Il fatto che lo stato, il suo apparato e i suoi organi non possano condizionare con la propria autorità le discussioni e i dibattiti ideologici fra i diversi modi d’intendere il socialismo non vuol dire che io, come singolo cittadino o come membro di un’altra associazione o organizzazione non possa criticare con rigore i modi di intendere il socialismo che sono sconsiderati, incoerenti, distorti, deformati, ecc. (siano a favore o contro il socialismo). Una delle illogicità e delle deformazioni fondamentali la vedo in quelle concezioni che disgiungono da sé i principi della democrazia e del socialismo. Nella sua corrente principale, il socialismo nacque come estensione al campo sociale ed economico dei principi democratici. La storia, però, ha dimostrato che i principi democratici restano solo sulla carta se si riducono alla sfera meramente politica. Le democrazie dell’età moderna hanno più volte deluso le speranze che strati vastissimi di uomini avevano riposto in esse, proprio perché non hanno realizzato in modo abbastanza esauriente i loro principi. A che serve dichiarare che tutti gli uomini nascono uguali tra loro in dignità e diritti se, appena nato, il bambino viene cacciato nella situazione pesante di una famiglia numerosa che vive in un tugurio, nella quale il padre è senza lavoro per circa metà dell’anno ed è anche ammalato, la madre non ha più forze e l’unica entrata viene dai due figli più grandi ancora adolescenti? Il fatto che tutti gli uomini siano dotati di ragione, qui porta la ragione stessa alla disperazione; la coscienza – proprio come la fratellanza – diventa qualcosa di estremamente discutibile. Dire che ognuno gode di tutti i diritti e di tutte le libertà senza alcuna distinzione, ad esempio in base alla proprietà, diventa una presa in giro. Anche il diritto alla vita viene meno: qui un pezzo di pane basta a difendere la vita almeno per un po’! Se i principi della democrazia devono valere, è necessario – assolutamente e senza compromessi – estenderli in modo che non restino solo parole. Il nostro esempio potrebbe far concludere che devono essere estesi soprattutto nel senso della sicurezza materiale per ogni cittadino. Ma sarebbe un errore. L’uomo, più ancora che del pane, ha bisogno di un altro uomo e ha molto più bisogno di un senso per cui vivere che di mezzi per vivere. Sta di fatto, comunque, che ha anche bisogno di questo pane e di questi mezzi. E se gli mancano questi mezzi per vivere, tutte le libertà dichiarate e tutti i diritti proclamati non valgono nulla. Nella sua sostanza il socialismo non è niente di più e niente di meno che questo modo di intendere, di applicare e di divulgare i principi e i fondamenti democratici nella sfera sociale ed economica.
La storia ha certamente dimostrato che un programma affascinante di ricostruzione sociale ed economica di una società può essere sfruttato (consapevolmente e con cattiva intenzione, o anche senza volerlo e con buone intenzioni, ma è lo stesso) per esprimere e sospendere le libertà e diritti politici e culturali. Gli uomini che hanno fame sono propensi a mettere da parte le preoccupazioni per la libertà di stampa o di espressione; gli uomini che non hanno di che pagare l’affitto, in genere non si preoccupano se possono o no andare in giro per paesi stranieri; gli uomini che per tutta la vita hanno campato con un paio di zuppe considerano più importante e primario riuscire a sfamarsi e avere dove abitare. E se possono alla fine rimodernare la loro casetta o magari farsene una nuova, se possono comprarsi l’automobile e vestirsi «come in città» – ed è così oggi in campagna – non hanno poi in alcuni casi molta comprensione per le difficoltà degli scrittori, dei giornalisti, dei politici, degli scienziati, ecc., che non possono svolgere il loro lavoro come meglio credono e come vorrebbero e che talvolta non possono neppure dedicarsi ad esso. Insomma questa gente non si scalda se vengono tolti dalle biblioteche libri e riviste che in alto loco sono considerati pericolosi. La storia però ha anche dimostrato che un simile qualunquismo costa caro: infatti, prima o poi, dalle libertà politiche si passa alle altre libertà. Una volta liquidati i giornalisti recalcitranti, si cominciano a nascondere alla cittadinanza i fatti più disparati e se ne inventano altri che non esistono. Una volta tolti di mezzo gli autori, i letterati, i critici, ecc. incorruttibili, il mercato librario può essere inondato da pseudovalori, nelle mostre possono esporre solo i pittori autorizzati, nelle riviste possono essere pubblicati solo gli articoli scelti (persino nelle riviste specializzate di biologia possono apparire solo gli articoli che secondo il rituale condannano la genetica come pseudocoscienza borghese, ecc.). Ma non solo questo. Se un impiegato viene licenziato per motivi che non sussistono vuol dire che le organizzazioni sindacali limitano ormai la loro attività solo alla distribuzione di buoni e all’organizzazione di feste e celebrazioni, ma non possono permettersi di tutelare un loro membro. Insomma, ad essere colpiti sono tutti, anche per il solo fatto di essere costretti a portare sulle proprie spalle le conseguenze di una gestione inetta delle aziende, dei settori o addirittura dell’economia nazionale tutta intera che ha perso buona parte del proprio rendimento a causa dei criteri in base ai quali vengono scelti i quadri dirigenti. Una riforma è estremamente difficile e in genere solo superficiale e temporanea, se si riduce a una semplice campagna e non nasce da un rinnovamento costante e continuamente riproposto.
Benché Marx (e anche Engels) appartenesse ai democratici radicali, il socialismo marxista soffre ormai dagli anni venti di deformazioni antidemocratiche da cui finora nessuna riforma o tentativo di riforma sono riusciti a liberarlo. Ma neppure i cosiddetti stati democratici dell’occidente sono in grado di trovare una soluzione radicale alla disoccupazione, anche se hanno compiuto molto lavoro sotto l’aspetto sociale (nei primi tempi soprattutto per tener testa al pericolo del comunismo, oggi comunque la sicurezza sociale dei cittadini è ormai parte integrante della loro politica). E così oggi la domanda suona in questi termini: dimostra maggiormente la propria vitalità la democrazia occidentale quando estende i principi democratici al settore sociale ed economico, oppure la dimostra di più il cosiddetto socialismo reale quando applica in modo coerente le libertà politiche e culturali? (e senza dubbio quando incrementa sensibilmente anche il proprio rendimento economico). È chiaro che avrà un’importanza storica come andranno le cose. Poiché come il futuro del mondo, così il futuro della democrazia e del socialismo non si deciderà né negli Stati Uniti né nell’Unione Sovietica (e naturalmente neppure in Europa) ma nei più grandi paesi del terzo mondo: nei colossi politici latino-americani, quali l’Argentina e il Brasile, in Cina, in India e nell’ancor troppo frazionata Africa. Intanto le strutture politiche democratiche stanno avanzando in modo graduale ma visibile; va avanti spedita anche la coscienza della necessità di allargare i principi democratici della sfera sociale ed economica. Ma il punto decisivo sarà la vittoria nel terzo mondo della democrazia orientata in senso sociale e socialista e perché questo accada si può fare solo una cosa: costituire un modello ben funzionante ed allettante.
Praga, 3 marzo 1977.