Lettera n. 5
docx | pdf | html ◆ článek | korespondence, italsky, vznik: 10. 3. 1977
  • in: Lettere a un amico, Bologna: Centro Studi Europa Orientale, 1979, str. 51–57

Lettera n. 5

Caro amico,

fin dalla prima lettera avevo promesso che ci saremmo occupati più da vicino dell’aspetto «morale» della campagna isterica condotta contro Charta 77 e i chartisti. Nel frattempo questa isteria montata ad arte è un po’ caduta, anche se la campagna è stata portata avanti. Forse gli attacchi aumenteranno di nuovo, ma questo ormai appartiene al divenire di ogni vicenda. Comunque non sono gli attacchi sui giornali, alla radio o alla televisione e neppure le singole iniziative poliziesche a costituire la sostanza della situazione attuale nel nostro paese. Essa ha la sua consistenza in qualcosa d’altro. Mio padre era un socialdemocratico, si fece strada partendo da condizioni molto modeste e da commesso di negozio diventò ragioniere. Era socialista non per decisione ma, per così dire, «dalla nascita», cioè fin dal suo inserimento nella vita e nelle società. Fece le sue esperienze (come il fratello più grande) con il comunismo e con i comunisti del periodo della prima repubblica; non furono le migliori. Per questo non si fece contagiare dall’euforia generale del 1945; io con il mio sinistrismo lo irritavo. Non fui lontano dall’entrare nel partito comunista. Ero però troppo radicato in certe tradizioni e troppo personalista: così suscitai dei sospetti. Non pensavo che fosse necessario nascondere che ero cristiano, che stimavo Masaryk, che non sopportavo le macchinazioni politiche (neppure in piccolo). E così dovetti fare i conti con una sorpresa dietro l’altra: da cui trassi anche le mie deduzioni. Mio padre non fu stupito dai processi politici degli anni cinquanta, io invece sì. Mentre egli mi raccomandava la prudenza, io presi allora la mia decisione definitiva. Dopo la morte di Stalin ebbi ancora qualche esitazione, ma fu solo per un momento. Ormai avevo capito tutto: il socialismo di tipo stalinista non era solo una creazione di Stalin e quindi non sarebbe uscito di scena con la sua morte. Il programma socialista era incredibilmente compromesso; se tutte le deformazioni e le deviazioni fossero venute a galla non ci sarebbe stato nient’altro che un utile esempio. Dopo aver brevemente sollevato il sipario dovettero seguire quindi nuovi tentativi per nascondere quanto era accaduto. Gli uomini non amano vedere come stanno realmente le cose, se questa realtà è terribile; soprattutto se si sentono corresponsabili di aver avallato qualcosa di simile, di non aver protestato. Anche se dall’epoca dei processi non mi facevo più nessuna illusione, così almeno pensavo, qualcos’altro fu per me una sorpresa enorme: non il rapporto Kruscev ma l’incontro con uomini che, innocenti, avevano trascorso in carcere e nei campi di concentramento, dieci, dodici, quindici e persino diciassette anni (e di solito questa non era la pena intera). Allora cominciai a vergognarmi in un modo nuovo; mi dimenticai dei piccoli (in confronto a quelli) torti subiti, decisi che non avrei pù trascorso i miei giorni stando da una parte, in un nascondiglio, mentre altri venivano esposti a crudeli ingiustizie. Capii che la libertà è indivisibile, proprio come è indivisibile la schiavitù. E decisi che non avrei più tenuto la bocca chiusa davanti al cumulo di menzogne, di malizie, di odio. Si trattava di un tragico episodio nella storia del socialismo nella nostra patria. Bisognava farla finita e iniziarne una nuova, migliore.

Ma già Karl Marx aveva capito che non è facile rinunciare al passato. «La storia è solida e quando seppellisce una vecchia forma deve passare attraverso molte fasi. L’ultima fase di ogni forma della storia del mondo è la sua commedia. Gli dei dell’antica Grecia che già erano stati una volta feriti a morte tragicamente nel Prometeo incatenato di Eschilo, dovettero morire ancora una volta comicamente nei Dialoghi di Luciano. Perché la storia procede in questo modo? Perché l’umanità si congedi dal suo passato senza rimpianti». Anche per questo non si può veramente parlare di una sorta di ritorno degli anni cinquanta, dello stalinismo, ecc. Oggi è tutto diverso. Mentre forza motrice dei provvedimenti rivoluzionari socialisti dei primi anni del dopoguerra erano la convinzione interiore, una maturità e una spinta ideale reale, oggi non riscontriamo qualcosa di simile (se non come eccezione); oggi il motivo principale sono il calcolo, la valutazione della situazione e il compromesso, nella maggioranza la rassegnazione, la perdita dello slancio ideale, la tendenza ad accontentarsi dei surrogati (come casette, auto, mobili, ecc.). Per questo non vediamo da nes suna parte alcun movimento o provvedimento rivoluzionario, ma solo il conservatorismo delle autorità e di quelli a cui va bene. Tutti gli elementi decisivi della socializzazione e di tutte le vere «conquiste» del socialismo furono ottenuti subito dopo la guerra: da allora ci si limita a conservare lo status quo e per di più malamente. È venuta meno la convinzione e al suo posto sono subentrate la costrizione e la corruzione. Dire la verità su tutto questo (persino negli studi scientifici, nelle opere d’arte, nei reportage giornalistici e altrove) non è possibile; se sei capace di indorare con menzogne la realtà, ti troverai bene e potrai persino ottenere il riconoscimento e l’apprezzamento dello stato. E se non sei capace? Dovrai star zitto, che tu lo voglia o no. Qualcosa in questa situazione ricorda davvero i tempi passati, ma solo esternamente; manca del tutto la convinzione interiore e anche la forza di persuasione indipendentemente dal fatto che voglio che le cose mi vadano bene. Non si arriva agli attacchi grossolani e palesi contro gli uomini onesti che non vogliono piegarsi davanti alle costrizioni. Le leggi non sono violate così in flagrante in base al cosiddetto comportamento di classe; ma in realtà la situazione è molto più difficile, perché è più amorale. C’è in essa tuttavia anche molto di ridicolo, di comico, di farsesco.

L’aspetto tragico di situazioni simili fu meravigliosamente colto da A. P. Čechov nel racconto L’uomo nell’astuccio:

«Vedere e sentire come si mente e poi ti danno dell’imbecille perché sopporti quella menzogna, subire offese e umiliazioni, non avere il coraggio di dichiarare apertamente che sei dalla parte delle persone oneste, libere, e mentire come gli altri, sorridere – tutto questo per un tozzo di pane, per un cantuccio caldo, per un qualche titolo meschino che non vale un soldo – no, vivere così non è possibile».

Ma il ridicolo sporge dalle pieghe e sempre più emerge alla luce del giorno. Pensiamo solo alle energie e ai mezzi che sono stati mobilitati per la campagna nazionale contro la Charta e come tutto questo ha potuto essere messo in moto senza che la Charta venisse resa pubblica o anche solo citata.

Che cosa in particolare tutti i firmatari hanno chiesto? Pensiamo che i quadri centrali del partito per un tempo lunghissimo abbiano ignorato che cosa c’era in questa Charta, limitandosi a sapere che se il contenuto fosse stato reso pubblico, nel nostro paese sarebbe andato tutto sottosopra; e intanto la Charta circolava in una gran quantità di copie senza che nessuno ne desse una a questi quadri (nemmeno una pagina). Oppure pensiamo al fatto strabiliante degli organi dello stato che nascondono le proprie leggi e che sequestrano nelle perquisizioni domiciliari la famosissima legge 120 contenente i due Patti internazionali. Marx ironizzò dicendo che «un tedesco conosce il proprio stato solo per sentito dire»; il nostro cittadino conosce solo per sentito dire i Patti internazionali e la Charta (se si attiene alle informazioni ufficiali). Potremmo andare avanti così a lungo. La verità è che non tutto fa ridere, certi elementi di tragedia permangono seppure al fondo, ma forse un giorno riusciremo a riderne di cuore. E sarà la fine di questa crisi morale in cui si dibatte la nostra società.

Alla testa dei firmatari c’è anche un filosofo. E secondo Marx «la filosofia ha conosciuto a tal punto il mondo da sapere che con le sue conclusioni non lusinga epicureismo ed egoismo né del mondo celeste né di quello terreno; il pubblico però che ama la verità e la conoscenza per se stesse potrà competere tranquillamente in discernimento e moralità con gli scribacchini ignoranti, servili e venduti».

Mi perdonerai se cito un altro passaggio di questo articolo di Marx del 1842.

«In sintonia con il suo carattere, la filosofia non ha mai fatto un passo per scambiare la veste ascetica del sacerdote con un abito leggero alla moda. I filosofi non nascono come i funghi, essi sono i frutti della loro epoca, del loro popolo: la sua linfa più sottile, più preziosa, più invisibile cola nelle idee dei filosofi. Quello spirito che attraverso le mani degli operai costruisce le ferrovie, nel cervello dei filosofi costruisce i sistemi filosofici. La filosofia non è fuori del mondo, proprio come il cervello non è fuori dell’uomo, anche se non si trova nello stomaco; tuttavia la filosofia è il cervello del mondo prima di mettersi con i piedi per terra, mentre molte altre sfere umane già da tempo stanno con i piedi per terra e con le mani colgono i frutti del mondo prima di intendere che anche la «testa» è di questo mondo o che questo mondo è il mondo della testa.

Poiché ogni giusta filosofia è la quintessenza spirituale della propria epoca, deve nascere l’epoca in cui la filosofia non solo dall’interno con il suo contenuto, ma anche dall’esterno con il suo manifestarsi, entrerà in rapporto di influenza reciproca con il mondo reale del suo tempo. La filosofia allora cessa di essere un dato sistema in rapporto ad altri sistemi e diventa la filosofia in rapporto al mondo, diventa la filosofia del mondo contemporaneo. I segni esteriori che testimoniano che la filosofia acquista questo significato, che diventa l’anima viva della cultura, che la filosofia è diventata mondana e il mondo filosofico, sono stati uguali per tutti i tempi; basta prendere qualunque manuale di storia e vi troveremo le formule più semplici che si ripetono e che testimoniano la sua frustrazione nei salotti, nelle stanze parrocchiali, nelle redazioni dei giornali e nelle anticamere dei palazzi, fra l’odio e l’amore dei contemporanei. Le filosofie suscitano nel mondo il grido dei loro nemici, e queste grida disperate di aiuto contro l’incendio delle idee rivelano che l’infezione interna si sta già diffondendo. Questo grido dei nemici ha per la filosofia lo stesso valore del primo vagito del bambino per la madre che ascolta preoccupata; è il grido della vita con le sue idee che hanno spaccato la scorza del sistema geroglifico e sono diventate cosmopolite.(…)

In questo destino la vera filosofia del presente non si distingue dalle vere filosofie del passato. Questo destino è la prova della sua verità che le è dovuta dalla storia».

Il manifesto di Charta 77 ha detto la verità fondamentale dei nostri giorni ed è logico che non potessero mancare i rappresentantanti della «vera filosofia del presente». Ed è anche logico che si sia levato il «grido dei suoi nemici». Marx dimostra che questo è bene. Sarebbe certamente peggiore il silenzio, specialmente il silenzio di quelli che per comodo e per paura lasciano andare tutto per la sua strada. Per sua essenza, l’uomo è (cioè, deve essere) un essere responsabile. Questo significa che l’uomo in quanto uomo viene chiamato dalla verità ad aiutarne la vittoria con tutte le sue forze. L’uomo che non risponde a questo appello e bada «alle sue cose», rovina e alla fine perde la propria umanità. Criterio della responsabilità umana non può essere nulla che venga manipolato, nulla, su cui possa decidere un altro uomo (e ancor meno una qualche istituzione, un arbitro ufficiale). Nel faccia a faccia con la chiamata alla responsabilità ogni uomo è solo con la propria coscienza. Né l’adulazione, né la corruzione lo possono far deviare, nessuna minaccia e nessuna diffamazione lo possono spaventare. La crisi morale della nostra società in questi giorni può essere superata solo se gli uomini cessano di ingannare se stessi, cessano di accampare scuse, cessano di minimizzare davanti a se stessi i loro compromessi e le loro colpe contro la coscienza; solo se, alla fine, prendono sul serio la verità.

Praga, 10 marzo 1977.